Parte quinta - Melpomenia.

 

13 - Via da Solaria.

 

LVI

 

La partenza si svolse in un susseguirsi di azioni frenetiche. Trevize aveva raccattato le sue armi inservibili, aveva aperto il portello, e tutti si erano precipitati all'interno. Solo a decollo avvenuto Trevize si accorse della presenza a bordo di Fallom.

Probabilmente non ce l'avrebbero fatta se i Solariani non fossero stati così arretrati nel volo. Il velivolo solariano che stava sopraggiungendo impiegò un'infinità di tempo per abbassarsi e atterrare. Mentre il computer della Far Star portò in quota la nave gravitazionalmente all'istante.

E anche se l'annullamento della gravità e dell'inerzia cancellò gli effetti altrimenti insopportabili di un decollo tanto rapido, rimasero però gli effetti dell'attrito. La temperatura esterna dello scafo salì in modo impressionante rispetto a quella consigliata dalle norme di base della navigazione e dalle caratteristiche tecniche della nave.

Mentre si alzavano, videro la seconda nave solariana che atterrava, e parecchi altri mezzi aerei in avvicinamento. Trevize si domandò quanti robot avrebbe potuto affrontare Bliss, e concluse che se fossero rimasti in superficie ancora per una quindicina di minuti sarebbero stati sopraffatti.

Una volta nello spazio (o perlomeno, in una regione ai limiti dell'esosfera planetaria), Trevize puntò verso il lato notturno del pianeta. Era vicinissimo, dato che si erano staccati dalla superficie al tramonto. Grazie all'oscurità, la Far Star si sarebbe raffreddata più in fretta, e avrebbe potuto continuare ad allontanarsi seguendo una lenta rotta a spirale.

Pelorat uscì dalla camera che divideva con Bliss. Disse: - Il bambino dorme regolarmente adesso. Gli abbiamo mostrato il funzionamento della toilette, e ha capito senza problemi.

- Non mi sorprende. Nella residenza dovevano esserci servizi del genere.

- Io non ne ho visti, anche se mi sono guardato attorno per bene - replicò Pelorat convinto. - Sai, per i miei gusti, eravamo rimasti fin troppo sul pianeta.

- Su questo siamo tutti d'accordo, credo. Ma perché abbiamo portato a bordo quel bambino?

Pelorat scrollò le spalle con aria contrita. - Bliss non ha voluto abbandonarlo. Era come se stesse salvando una vita per compensare quella che aveva spezzato. Non sopporta...

- Lo so - disse Trevize.

Pelorat commentò: - Certo che è un bambino fatto in modo strano.

- Per forza... È un'ermafrodita.

- Sai, ha i testicoli.

- Non potrebbe essere diversamente.

- E qualcosa che... be', posso solo descriverla come una piccolissima vagina.

Trevize fece una smorfia. - Disgustoso.

- Non direi, Golan - protestò Pelorat. - È adatta alle sue esigenze. Produce solo un ovulo fecondato, o un minuscolo embrione, che poi matura in condizioni di laboratorio, sotto la supervisione dei robot, mi pare.

- E cosa accadrebbe se il loro sistema robotico si sfasciasse? Non sarebbero più in grado di produrre discendenti capaci di sopravvivere.

- Qualsiasi mondo si troverebbe in guai seri se la sua struttura sociale crollasse.

- Certo... Non che scoppierei in un pianto a dirotto per la scomparsa dei Solariani.

- Be' - convenne Pelorat - ammetto che non sembra un mondo molto attraente... per noi, chiaro. Ma, amico mio, sono solo gli abitanti e la struttura sociale gli aspetti che noi non condividiamo. Togliendo gli abitanti e i robot, invece avremmo un mondo che...

- Potrebbe crollare, come sta facendo Aurora - disse Trevize. - Come sta Bliss, Janov?

- È stremata. Adesso dorme. Per lei è stata un'esperienza terribile, Golan.

- Non è che io mi sia poi divertito tanto.

Trevize chiuse gli occhi e decise che aveva bisogno di dormire, che si sarebbe concesso un po' di riposo non appena fosse stato ragionevolmente sicuro dell'inettitudine spaziale dei Solariani... E finora il computer non aveva individuato nello spazio circostante nessun oggetto artificiale.

Pensò con amarezza ai due pianeti visitati... sul primo, cani selvatici ostili... sul secondo, ermafroditi solitari ostili. E nemmeno il minimo accenno riguardo la posizione della Terra. Unico frutto di quella doppia visita : Fallom.

Trevize aprì gli occhi. Pelorat era ancora seduto dalla parte opposta del computer, e lo osservava con espressione solenne.

D'un tratto, con estrema convinzione, Trevize disse: - Non avremmo dovuto portare con noi il bambino solariano.

- Poverino... Lo avrebbero ucciso.

- Può anche darsi... Ma il suo posto era quello. Apparteneva a quella società. Era destinato fin dalla nascita a essere eliminato, non avendo una utilità immediata.

- Oh, amico mio, che punto di vista crudele.

- È un punto di vista razionale. Non sappiamo come provvedere a lui, può darsi che soffra con noi e che alla fine muoia ugualmente. Cosa mangia?

- Quello che mangiamo noi, immagino, vecchio mio. Se mai il problema è: noi cosa mangiamo? Abbiamo scorte sufficienti?

- Più che sufficienti, anche calcolando il nuovo passeggero.

Pelorat non sembrò particolarmente entusiasta, comunque. - La nostra dieta è diventata piuttosto monotona. Su Comporellen avremmo dovuto fare rifornimento... non che la loro cucina fosse eccezionale.

- Non abbiamo potuto. Se ricordi, siamo partiti con una certa fretta... come siamo partiti da Aurora, e soprattutto da Solaria... Ma cos'è mai un po' di monotonia? Rovina il piacere, d'accordo, però ci mantiene in vita.

- Se fosse necessario, potremmo procurarci provviste fresche?

- Certo, Janov. Con una nave gravitazionale e motori iperspaziali, la Galassia è un posto piccolo. In pochi giorni possiamo raggiungere qualsiasi punto. Il fatto è che la metà dei mondi della Galassia sono stati avvertiti, devono denunciare l'avvistamento di una nave come la nostra, quindi preferisco stare alla larga per un po'.

- Già, hai ragione... Bander però non sembrava interessato alla nave.

- Probabilmente non gli interessava affatto. I Solariani devono aver rinunciato da un pezzo al volo spaziale. Il loro desiderio primario è quello di essere lasciati in completa solitudine, e se vogliono essere sicuri del loro isolamento perché dovrebbero viaggiare nello spazio a pubblicizzare la loro presenza?

- Quale sarà la nostra prossima mossa, Golan?

Trevize rispose: - Abbiamo un terzo pianeta da visitare.

Pelorat scosse la testa. - A giudicare dai primi due, non che mi aspetti granché.

- Nemmeno io per ora, ma non appena avrò dormito un po' metterò al lavoro il computer per calcolare la nuova rotta verso il terzo pianeta.

 

LVIII

 

Trevize dormì più a lungo del previsto; non che fosse un particolare importante. A bordo della nave, non c'erano il giorno e la notte, non in senso naturale almeno, e il ritmo circadiale non funzionava mai alla perfezione. Gli orari erano arbitrari, ed era abbastanza normale che Trevize e Pelorat (e soprattutto Bliss) si trovassero un po' fuori fase per quanto riguardava i cicli naturali dell'alimentazione e del sonno.

Mentre si strofinava (dato che bisognava evitare ogni spreco dell'acqua era consigliabile togliersi la schiuma detergente strofinando piuttosto che sciacquandola via), Trevize stava chiedendosi se fosse il caso di dormire ancora un paio d'ore, poi si girò e si ritrovò a fissare Fallom, nudo come lui.

Non poté fare a meno di balzare indietro, e dato lo spazio ristretto del Personale inevitabilmente andò a sbattere contro una superficie solida, e grugnì.

Fallom lo osservava incuriosito, indicando il pene di Trevize. Farfugliò qualcosa di incomprensibile, ma l'atteggiamento complessivo del bambino sembrava esprimere un senso di incredulità. Per sentirsi tranquillo, Trevize dovette coprirsi il pene con le mani.

Poi, con la sua vocetta acuta, Fallom disse: - Saluti.

Trevize rimase un poco sorpreso sentendo che il bambino parlava in galattico, ma dal tono si capiva che la parola era stata imparata a memoria.

Fallom continuò, con lentezza dolorosa: - Bliss... dice... tu... lavare... me.

- Sì? - Trevize mise le mani sulla spalla di Fallom. - Tu... resta... qui.

Indicò il pavimento, e Fallom naturalmente guardò il punto indicato dal dito, mostrando di non capire affatto l'espressione.

- Non muoverti - disse Trevize, premendo le braccia del bambino contro il corpo, quasi a simbolizzare l'immobilità. Si asciugò in fretta e furia, infilò le mutande, quindi i calzoni.

Uscendo, gridò: - Bliss!

A bordo della nave era difficile che i passeggeri fossero separati da una distanza superiore ai quattro metri, e Bliss si affacciò quasi subito alla porta della sua stanza. Sorridendo, disse: - Mi hai chiamato, Trevize... o era il suono della brezza che sospira tra l'erba ondeggiante?

- Non è il momento di fare dello spirito, Bliss. Cosa significa? - Trevize indicò alle proprie spalle col pollice.

Bliss guardò e rispose: - Direi che si tratta del piccolo solariano che abbiamo portato a bordo ieri.

- Che tu hai portato a bordo ieri! Perché vuoi che lo lavi?

- Pensavo che avresti gradito l'idea. È una creatura molto brillante. Sta imparando rapidamente tante parole in galattico, sai? Una volta che gli ho spiegato qualcosa, non la dimentica più. Naturalmente, c'entra anche il mio aiuto.

- Naturalmente.

- Sì. Lo mantengo calmo. Durante gli eventi più sconvolgenti sul pianeta, l'ho protetto con una specie di trance. A bordo della nave ho fatto in modo che dormisse, e adesso sto cercando di distrarlo un po' perché non pensi in continuazione a Jemby, il robot che ha perso, e che evidentemente amava parecchio.

- Insomma, vuoi fare in modo che alla fine si trovi bene tra noi, eh?

- Lo spero. È adattabile dato che è giovane, e io cerco di favorire il suo adattamento influenzando per quanto possibile la sua mente. Gli insegnerò a parlare in galattico.

- Allora, lavalo tu! Chiaro?

Bliss si strinse nelle spalle. - Lo farò, se proprio insisti... ma vorrei che si sentisse benvoluto da tutti noi. Sarebbe utile se ognuno di noi svolgesse certe mansioni da genitore nei suoi confronti. Mi pare che anche tu potresti collaborare.

- Solo entro certi limiti. E quando avrai finito di lavarlo, liberatene. Voglio parlarti.

Bliss, con un tono di colpo aggressivo, ribatté: - Liberarmene? Cosa vorresti dire?

- Non dico di gettarlo all'esterno... Portalo in camera tua e fallo sedere in un angolo. Devo parlare con te.

Trevize la fissò incollerito per un attimo, quindi si spostò nella sala comandi e accese lo schermo.

Solaria era un disco scuro con una striscia ricurva di luce sulla sinistra. Trevize mise le mani sulla scrivania per entrare in contatto con il computer, e si accorse che la sua rabbia svaniva all'istante. Bisognava essere calmi per un collegamento mentale efficace col computer, e a lungo andare per un riflesso condizionato bastava il contatto manuale per ripristinare la serenità.

Non c'erano oggetti artificiali attorno alla nave, in alcuna direzione, fino al pianeta stesso. I Solariani (o i loro robot, più probabilmente) non potevano, o non intendevano, lanciarsi all'inseguimento.

Bene. Allora Trevize poteva uscire tranquillamente dall'ombra notturna. Continuando ad allontanarsi, sarebbe svanita comunque, e il disco di Solaria sarebbe progressivamente diventato più piccolo di quello del suo sole, più lontano ma molto più grande del pianeta.

Programmò il computer in modo che allontanasse la nave anche dal piano planetario, così avrebbero potuto accelerare con sicurezza maggiore. Dopo di che avrebbero raggiunto più in fretta una regione dove la curvatura dello spazio fosse abbastanza bassa da consentire un balzo senza grossi rischi.

Come gli capitava spesso in circostanze simili, Trevize si ritrovò a studiare assorto le stelle. Erano quasi ipnotiche nella loro silenziosa immutabilità. La distanza annullava qualsiasi turbolenza e instabilità, facendole apparire come semplici punti luminosi.

Forse uno di quei punti era il Sole attorno al quale ruotava la Terra... Il Sole originale (con la S maiuscola), che coi suoi raggi aveva favorito l'inizio della vita, l'evoluzione dell'umanità.

I Mondi Spaziali orbitavano attorno a stelle vivide, a ragguardevoli esemplari della famiglia stellare, eppure quelle stelle non figuravano nella mappa galattica del computer. Nulla escludeva che fosse così anche per il Sole.

O mancavano solo i soli dei mondi Spaziali, in seguito a qualche trattato antichissimo per la tutela del loro isolamento? Forse il Sole della Terra era compreso nella mappa galattica, però senza alcuna indicazione che permettesse di distinguerlo dalla miriade di stelle del suo stesso tipo, stelle prive comunque di pianeti abitabili nel loro sistema...

Nella Galassia c'erano circa trenta miliardi di stelle simili al Sole, e solo una su mille aveva un pianeta abitabile orbitante. Forse c'erano un migliaio di pianeti del genere in un raggio di qualche centinaio di parsec rispetto alla posizione attuale della Far Star? Trevize doveva allora esaminare le stelle della classe del Sole a una a una, affrontando una ricerca minuziosa?

O il Sole originale non si trovava neppure in quel settore galattico? Quanti altri settori erano convinti che il Sole fosse nelle loro vicinanze, quanti erano convinti di appartenere al gruppo più antico di Coloni...?

Trevize aveva bisogno di informazioni, e finora non aveva raccolto nessun dato utile.

Anche un attento esame delle rovine di Aurora non avrebbe dato alcun risultato, ne era certo. Ed era certissimo che dai Solariani non avrebbero mai cavato nulla.

E se avesse trovato il Sole, e quindi la Terra, per un incredibile colpo di fortuna... chissà se qualche forza misteriosa gli avrebbe impedito di rendersene conto? Forse le difese della Terra erano totali... Forse l'accanimento con cui la Terra voleva rimanere nascosta era un ostacolo insuperabile...

Ma lui cosa cercava, in sostanza?

La Terra? O la pecca del Piano Seldon, che pensava (senza alcuna ragione precisa) di poter trovare appunto sulla Terra?

Il Piano Seldon operava ormai da cinque secoli, e avrebbe condotto finalmente il genere umano al sicuro (così si diceva) nel grembo di un Secondo Impero Galattico, più vasto del Primo, più nobile e più libero... eppure lui, Trevize, aveva votato contro tale soluzione, optando per Galaxia.

Galassia, un unico immenso organismo... mentre il Secondo Impero Galattico, per quanto grande e vario, sarebbe stato semplicemente una unione di organismi individuali di entità microscopica rispetto al totale. Il Secondo Impero Galattico sarebbe stato l'ennesimo esempio del genere di unione di individui che caratterizzava l'umanità fin dai primordi... l'esempio più grande e migliore, ma pur sempre una ripetizione del medesimo tipo di organizzazione.

Perché Galaxia, incarnazione di un tipo di organizzazione completamente diverso, fosse una soluzione migliore del Secondo Impero Galattico, doveva esserci un difetto nel Piano, qualcosa che il grande Hari Seldon stesso si era lasciato sfuggire.

Ma se a Seldon era sfuggito qualcosa, Trevize come poteva intervenire per rimediare? Non era un matematico, non sapeva nulla, proprio nulla, dei meccanismi del Piano; anzi, anche se glieli avessero spiegati non avrebbe capito nulla.

Conosceva solo gli assiomi fondamentali... cioè, che l'indagine doveva occuparsi di un numero molto elevato di esseri umani, e che gli esseri umani non dovevano essere al corrente delle conclusioni raggiunte. Il primo assioma era evidentissimo e non presentava problemi, considerando il numero enorme degli abitanti della Galassia; e il secondo assioma era più che fondato dal momento che solo i membri della Seconda Fondazione erano al corrente dei particolari del Piano e li custodivano gelosamente.

Dunque non restava che un presupposto implicito, scontato, talmente scontato da non venire mai citato, mai considerato... ma che poteva essere falso... Un presupposto che, se fosse stato errato veramente, avrebbe alterato l'esito grandioso del Piano, di modo che Galaxia sarebbe stata preferibile all'Impero.

Ma se era così evidente, così scontato da non venire mai menzionato, com'era possibile che quel presupposto fosse errato? E se nessuno ne parlava mai, se nessuno lo prendeva mai in considerazione, come faceva Trevize a sapere che c'era? Come poteva intuirne la natura una volta intuito che esisteva?

Era davvero Trevize, l'uomo dall'intuizione infallibile... come sosteneva Gaia? Sapeva davvero quale fosse la cosa migliore da fare in qualsiasi circostanza, anche se non sapeva perché la stesse facendo?

Adesso stava visitando tutti i Mondi Spaziali di cui aveva notizia... Era la strategia giusta? I Mondi Spaziali racchiudevano la risposta che cercava? O almeno l'inizio di una risposta...?

Che c'era su Aurora, se non ruderi e cani selvatici? (E presumibilmente altre creature pericolose... Tori feroci? Topi giganteschi? Gatti predatori?) Solaria era un pianeta vivo, ma ospitava solo robot ed esseri umani che trasformavano l'energia col cervello. Che c'entravano questi due mondi con il Piano Seldon, a meno di non racchiudere il segreto della posizione della Terra?

E in caso di risposta affermativa, che c'entrava la Terra con il Piano Seldon? Era tutta una sua costruzione assurda? si chiese Trevize. Aveva finito col prendere troppo sul serio la storia della propria infallibilità?

Un senso opprimente di vergogna calò su di lui, impedendogli quasi di respirare. Guardò le stelle... remote, insensibili... e pensò: "Devo essere il Più Grande Sciocco della Galassia".

Lviii

La voce di Bliss lo riportò al presente. - Be', Trevize, perché volevi vedermi?... Qualcosa che non va?

Trevize alzò lo sguardo e, per un attimo, gli riuscì difficile scacciare il suo stato d'animo. Fissando la ragazza, rispose: - No, no. È tutto a posto... Stavo... stavo solo riflettendo. Di tanto in tanto, anch'io mi ritrovo a pensare.

Si rendeva conto, e questo gli causava un certo disagio che Bliss era in grado di leggere i suoi sentimenti. D'accordo, Bliss gli aveva garantito di non sbirciargli nella mente... ma non sapeva fino a che punto fidarsi della sua parola.

Comunque, Bliss parve accettare la risposta di Trevize. Disse: - Pelorat è con Fallom, gli sta insegnando espressioni in galattico. Sembra che il bambino mangi quello che mangiamo noi senza eccessive obiezioni... Ma, perché volevi vedermi?

- Be'... non stiamo qui - fece Trevize. - Per ora il computer non ha bisogno di me. Se vuoi seguirmi in camera mia, puoi sederti sul letto, e io sulla sedia. O viceversa se preferisci.

- Non ha importanza. - Si spostarono nella camera di Trevize. Bliss lo osservò. - Non sembri più furioso.

- Stai controllando la mia mente?

- Nemmeno per sogno. Sto controllando la tua faccia.

- Non sono furioso. Di tanto in tanto, perdo la pazienza per un attimo, ma questo non significa che mi infurii. Comunque, se non ti dispiace, avrei delle domande da farti.

Bliss si accomodò sul letto, stando ben eretta, con una espressione solenne negli occhi castano scuro. I capelli neri che le scendevano fin sulle spalle erano acconciati con cura. Teneva le mani sottili sulle ginocchia, disinvolta; ed era circondata da un lieve alone di profumo.

Trevize sorrise. - Ti sei agghindata, vedo... Probabilmente pensi che non mi metterò a sbraitare di fronte a una bella ragazza.

- Puoi sbraitare a tuo piacimento, se credi che possa farti sentire meglio. Basta che non gridi con Fallom.

- Non ne ho alcuna intenzione. Anzi, nemmeno con te intendo gridare. Non abbiamo deciso che siamo amici?

- Gaia ha sempre avuto sentimenti di amicizia nei tuoi confronti, Trevize. Solo sentimenti di amicizia.

- Non sto parlando di Gaia. Lo so che fai parte di Gaia, e che sei Gaia. Eppure in un certo senso conservi anche una tua identità individuale. Ecco, ora mi sto rivolgendo all'individuo singolo che è in te. Mi sto rivolgendo a qualcuno di nome Bliss... riferendomi il meno possibile a Gaia... Non abbiamo deciso che siamo amici, Bliss

- Sì, Trevize.

- Allora, come mai su Solaria, quando siamo usciti dalla residenza e abbiamo raggiunto la nave, hai aspettato tanto prima di affrontare i robot? Sono stato umiliato, mi è stato fatto del male, eppure tu non sei intervenuta. Sapevi che da un istante all'altro sarebbero potuti arrivare altri robot, e che avrebbero potuto sopraffarci numericamente, eppure non hai fatto nulla.

Bliss lo fissò seria, e rispose in tono esplicativo piuttosto che difensivo. - Stavo facendo qualcosa, invece, Trevize. Stavo studiando le menti dei Robot Guardiani, cercando di scoprire il modo in cui controllarle.

- Sì, lo so. Almeno, tu stessa mi hai detto che stavi studiando le loro menti, allora. Solo, non capisco lo scopo... Perché volevi cercare di controllare le loro menti, dal momento che eri in grado di distruggerle... cosa che in seguito hai fatto?

- Credi che sia semplice distruggere un essere intelligente?

Trevize arricciò le labbra in un'espressione disgustata. - Via, Bliss... Un essere intelligente? Era solo un robot!

- Solo un robot? - Bliss si infervorò leggermente. - La solita giustificazione... Solo. Solo! Perché Bander avrebbe dovuto esitare a ucciderci? Eravamo solo esseri umani privi di lobi trasduttori... Perché esitare ad abbandonare Fallom al suo destino? Era solo un Solariano, un esemplare immaturo, per giunta. Se si comincia a ragionare in questo modo quando ci si vuole sbarazzare di qualcuno, allora si può distruggere facilmente tutto quello che si desidera. Perché c'è sempre qualcosa di classificabile con un comodo "è solo questo, o è solo quello".

Trevize ribatté: - Non esagerare o si arriva sì a conclusioni assurde. La mia era un'affermazione perfettamente legittima. Quel robot era solo un robot. Non puoi negarlo. Non era un essere umano. Non era intelligente, non nel senso umano del termine. Era una macchina, un'imitazione artificiale dell'intelligenza.

- È facile parlare così quando non si sa nulla di certe cose. Io sono Gaia. D'accordo, sono anche Bliss... però sono Gaia. Sono un mondo che giudica ogni suo atomo prezioso e importante, che giudica ancor più importante ogni agglomerato organizzato in atomi. Io/noi/Gaia esitiamo parecchio quando si tratta di disgregare un organismo, anche se siamo sempre felici di trasformarlo in qualcosa di ancor più complesso, a patto che questa trasformazione non abbia ripercussioni dannose sulla totalità.

"La più elevata forma di organizzazione che conosciamo produce l'intelligenza, e per arrivare a distruggere l'intelligenza devono esistere motivi validissimi... Non importa se questa intelligenza è meccanica o biochimica... Anzi... il Robot Guardiano rappresentava un tipo di intelligenza che io/noi/Gaia non avevamo mai incontrato. Era bellissimo studiarla. Distruggerla era inconcepibile... se non in caso di emergenza assoluta."

Trevize replicò asciutto: - C'erano in gioco tre intelligenze più grandi... la tua; quella di Pelorat, l'uomo che ami; e, se non ti dispiace, la mia.

- Quattro! Continui a tralasciare Fallom... Non erano ancora in pericolo, comunque. Ascolta... Immagina di trovarti di fronte a un dipinto, a un grande capolavoro artistico, e che l'esistenza di questo dipinto significhi morte certa per te. Basta che tu prenda un pennello e che imbratti il dipinto con degli scarabocchi a caso, per distruggerlo definitivamente ed essere salvo... Ma immagina invece di studiare il dipinto attentamente, di aggiungere una sfumatura di colore in un punto, una macchiolina in un altro punto, di raschiare via un po' di colore in un terzo punto e via dicendo... In questo modo modificherai il dipinto, abbastanza da sfuggire alla morte, ed eviterai di distruggere un capolavoro. Naturalmente, i ritocchi richiederanno un'attenzione minuziosa, un dispendio di tempo, però disponendo del tempo necessario, cercherai di salvare il dipinto oltre alla tua vita.

- Può darsi - disse Trevize. - Comunque, alla fine tu hai distrutto il dipinto irrimediabilmente. Il pennello ha spazzato via qualsiasi sfumatura cromatica, qualsiasi forma... E sei intervenuta all'istante quando a rischiare era quel piccolo ermafrodita, mentre di fronte alla situazione di pericolo di noi tre non avevi mosso un dito.

- Noi Esterni non eravamo in pericolo immediato, mentre a mio avviso per Fallom la situazione era ben diversa. Dovevo scegliere tra il Robot Guardiano e Fallom, e non avendo tempo da perdere ho scelto per forza Fallom.

- È di questo che si è trattato, Bliss? Di un rapido calcolo con cui hai soppesato due menti, di un rapido giudizio per stabilire quale fosse più complessa e di maggior valore?

- Sì.

- E se ti dicessi che avevi di fronte solo un bambino, un bambino minacciato di morte? Può darsi che tu abbia provato un istinto materno improvviso, e che abbia salvato Fallom per questo, mettendo da parte tutti i calcoli che avevi fatto fino a un attimo prima quando in gioco c'erano solo tre vite adulte.

Bliss arrossì leggermente. - È possibile che il mio intervento sia stato influenzato da un sentimento simile, ma non è il caso di usare quel tono beffardo. Era un intervento guidato anche da considerazioni razionali.

- Davvero? Se hai esaminato il problema razionalmente, forse avresti potuto tener presente che il bambino andava incontro a un destino comune e inevitabile nella sua società. Chissà quante migliaia di bambini sono stati eliminati per mantenere la popolazione entro il limite che i Solariani ritengono ottimale per il loro mondo?

- Non è così semplice, Trevize. Il bambino sarebbe stato ucciso perché era troppo giovane per essere un Successore, ed era troppo giovane perché aveva un genitore morto prematuramente, morto prematuramente in quanto ucciso da me.

- In una situazione in cui si trattava di uccidere per non essere uccisi.

- Non importa. Sono stata io a uccidere quel genitore. Non potevo assistere passiva e consentire che il bambino venisse ucciso in conseguenza di una mia azione... E poi, la sua presenza permette di studiare un tipo di cervello mai studiato da Gaia.

- Un cervello infantile.

- Non rimarrà infantile in eterno. Senza contare che ci sarà anche lo sviluppo dei due lobi trasduttivi laterali. Grazie a quei lobi un Solariano possiede capacità che tutta Gaia non potrà mai eguagliare. Per tenere accesa qualche luce, per attivare il congegno di apertura di un passaggio, mi sono logorata. Bander riusciva a rifornire di energia una tenuta complessa quanto la città che abbiamo visto su Comporellen, una tenuta molto più estesa di quella città... e ci riusciva anche nel sonno.

Trevize disse: - Dunque, consideri il bambino un esemplare importante per uno studio scientifico sul cervello.

- In un certo senso, sì.

- Io non la penso così. Secondo me abbiamo portato a bordo un pericolo. Un grande pericolo.

- Pericolo, in che senso? Si adatterà benissimo... col mio aiuto. È intelligente, e dimostra già un certo affetto per noi. Mangerà quello che mangiamo noi, andrà dove andremo noi, e io/noi/Gaia ricaveremo conoscenze di valore inestimabile sul suo cervello.

- E se si riproducesse? Non ha bisogno di un compagno. È autosufficiente.

- Non sarà in età feconda ancora per molti anni. Gli Spaziali vivevano diversi secoli, e i Solariani non desiderano affatto incrementare il loro numero. Probabilmente la riproduzione tardiva è una caratteristica di base della popolazione di Solaria. Fallom non avrà figli per parecchio tempo.

- Come lo sai?

- Non lo so. Sto solo usando la logica.

- E io ti dico che Fallom si rivelerà pericoloso.

- Non lo sai. E non stai nemmeno usando la logica.

- Lo sento, Bliss... senza alcun motivo particolare. E non sono io a insistere sull'infallibilità della mia intuizione. Sei tu a insistere.

Bliss corrugò la fronte, assumendo un'espressione turbata.

 

LIX

 

Pelorat si fermò sulla soglia della sala comandi e guardò dentro, imbarazzato. Evidentemente, stava cercando di decidere se Trevize fosse assorto nel lavoro o meno.

Trevize aveva le mani sulla scrivania, come faceva sempre quando entrava in contatto diretto col computer, e gli occhi fissi sullo schermo. Pelorat allora dedusse che era impegnato, e attese pazientemente, cercando di non muoversi e di non disturbarlo in nessun altro modo.

Infine, Trevize alzò lo sguardo verso Pelorat. Non sembrava del tutto consapevole della presenza dell'amico. Gli occhi di Trevize erano sempre un po' appannati, vacui, durante la comunione col computer, quasi stesse vivendo in una dimensione diversa dalla normalità.

Comunque, Trevize rivolse a Pelorat un cenno di assenso, lentamente, come se l'immagine con una certa difficoltà avesse raggiunto finalmente i centri ottici. Poco dopo, staccò le mani, sorridendo, e tornò ad essere il Trevize abituale.

L'aria di volersi scusare, Pelorat disse: - Temo di esserti d'impaccio, Golan...

- Nulla di grave, Janov. Stavo solo controllando, verificando se siamo pronti per il balzo. Lo siamo, quasi... ma penso che attenderemo ancora alcune ore, solo per scaramanzia.

- La scaramanzia... o dei fattori casuali... possono influire?

- Era semplicemente un modo di dire - sorrise Trevize. - Comunque, in teoria, i fattori casuali hanno un certo peso... Cosa volevi?

- Posso sedermi?

- Certo, ma andiamo in camera mia... Come sta Bliss?

- Benissimo. - Pelorat si schiarì la voce. - Sta dormendo di nuovo. Ha bisogno di dormire, sai...

- Lo so. È per via della separazione iperspaziale.

- Esattamente, vecchio mio.

- E Fallom? - Trevize si sistemò sul letto, lasciando a Pelorat la sedia.

- Quei libri della mia biblioteca che hai fatto stampare per me dal computer? Le leggende popolari? Be', le sta leggendo. Certo, non che capisca granché di galattico, però pare che gli piaccia il suono delle parole. Lui... Continuo a usare il pronome maschile anche se non è esatto... Chissà perché, vecchio mio?

Trevize si strinse nelle spalle. - Forse perché tu stesso sei un maschio.

- Già... Comunque, Fallom è intelligentissimo, sai...

- Non ne dubito.

Pelorat esitò. - Mi pare di capire che Fallom non ti è molto simpatico.

- Nulla di personale, Janov. Non ho mai avuto dei bambini e in generale non mi sono mai piaciuti tanto. Invece, se ben ricordo, tu hai avuto dei bambini.

- Un figlio... Ricordo che era bellissimo stare con lui quando era piccolo. Forse è per questo che preferisco usare il pronome maschile per Fallom. Mi riporta indietro di un quarto di secolo.

- Non ho nulla in contrario se ti piace, Janov.

- Piacerebbe anche a te, se provassi ad apprezzarlo.

- Certamente, Janov... e forse un giorno ci proverò.

Pelorat esitò di nuovo. - So anche che devi essere stanco di discutere con Bliss...

- A dire il vero, non credo che discuteremo poi tanto, Janov. Lei ed io cominciamo ad andare d'accordissimo. L'altro giorno c'è stata tra noi una discussione ragionevole, senza grida e senza accuse, circa la scarsa tempestività con cui ha disattivato i Robot Guardiani... In fin dei conti, Bliss continua a salvarci la vita, quindi il minimo che possa fare è assumere un atteggiamento amichevole verso di lei, no?

- Sì, capisco... ma non intendevo dire "discutere" nel senso di "litigare"... Mi riferivo a questo continuo dibattito a proposito di Galaxia contrapposta all'individualità.

- Oh, intendevi questo! Immagino che il dibattito continuerà, allora... educatamente.

- Golan, ti spiace se affronto l'argomento al posto di Bliss?

- Fai pure... Accetti personalmente l'idea di Galaxia, o lo fai solo perché sei più felice se sei d'accordo con Bliss?

- In tutta onestà, è una mia convinzione personale. Secondo me Galaxia è la soluzione che tutti dovremmo augurarci. Tu stesso hai fatto questa scelta, e sono sempre più convinto che sia quella giusta.

- Perché l'ho fatta io? Non è un motivo valido. Sai, qualunque cosa sostenga Gaia, può darsi che io sbagli. Quindi non lasciare che Bliss ti persuada in favore di Galaxia basandoti solo su questo.

- Secondo me non ti sbagli. È stata Solaria a dimostrarmelo, non Bliss.

- Come?

- Be', innanzitutto, siamo Isolati tu ed io...

- Un termine di Bliss. Preferisco che ci consideriamo individui.

- Semplice questione semantica, vecchio mio. Indipendentemente dal termine che preferiamo usare, siamo chiusi nei nostri involucri privati che racchiudono i nostri pensieri privati, e pensiamo innanzitutto a noi stessi. La nostra legge naturale primaria è quella dell'autodifesa, anche se questo può comportare l'offesa di tutti quelli che abbiamo attorno.

- Certe persone, è risaputo, hanno dato la vita per gli altri.

- Un fenomeno raro. È ben più grande il numero delle persone che per qualche stupido capriccio privato hanno calpestato le esigenze e i bisogni altrui. Anche questo è risaputo.

- E questo che c'entra con Solaria?

- Perbacco, su Solaria vediamo cosa possono diventare gli Isolati... o gli individui, se preferisci. I Solariani accettano a malincuore l'idea di dividere un intero pianeta tra loro. Per loro una vita di isolamento completo equivale alla libertà perfetta. Non hanno alcun legame affettivo verso i loro figli, anzi li uccidono se sono troppo numerosi. Si circondano di robot schiavi ai quali forniscono l'energia, in modo che quando muoiono anche le loro immense tenute muoiono simbolicamente. Ti pare un sistema ammirevole, Golan? Puoi paragonarlo a Gaia, in quanto a giustizia, sollecitudine reciproca e bontà?... Non ne ho affatto discusso con Bliss. È quel che penso io.

Trevize disse: - Ed è logico, conoscendoti, che tu la pensi così, Janov. Condivido il tuo parere. Secondo me la società solariana è orribile, ma non è sempre stata così. I Solariani discendono dai Terrestri, e più recentemente, dagli Spaziali, che vivevano in modo molto più normale. Per qualche motivo, i Solariani hanno scelto una via che ha portato a conseguenze estreme. Ma non si può giudicare in base a una situazione limite. In tutta la Galassia, con milioni di mondi abitati, ti risulta che ce ne sia uno che abbia avuto in passato, o che abbia attualmente, una società come quella di Solaria, o una società che si avvicini anche lontanamente alla solariana? E Solaria sarebbe arrivata a tanto se non fosse minata da una presenza così massiccia di robot?

Pelorat accennò una piccola smorfia. - Riesci a demolire qualsiasi ragionamento, Golan... o meglio, sei sempre a tuo agio quando si tratta di difendere il tipo di Galassia contro cui hai votato.

- Non intendo demolire proprio tutto. In effetti, c'è un fondamento logico alla base della scelta di Galaxia, e quando lo scoprirò... cioè, se lo scoprirò... me ne renderò conto, e mi calmerò.

- Se, dici? Può darsi che tu non lo scopra?

Trevize scrollò le spalle. - Chi può dirlo?... Sai perché sto aspettando qualche ora prima di effettuare il balzo, perché sarei tentato di rimandare addirittura di alcuni giorni?

- Hai parlato di ragioni di sicurezza.

- Certo, l'ho detto, però anche adesso il balzo sarebbe abbastanza sicuro... No, in realtà ho paura che i Mondi Spaziali di cui abbiamo le coordinate si rivelino una delusione completa... Tre mondi, e due li abbiamo già esaminati, rischiando la vita entrambe le volte. Eppure non abbiamo trovato il minimo indizio utile circa la posizione della Terra, anzi il minimo indizio circa l'esistenza della Terra. Adesso siamo di fronte alla terza possibilità, l'ultima... E se facessimo fiasco anche questa volta?

Pelorat sospirò. - Sai, ci sono dei vecchi racconti popolari... uno è proprio tra quelli che ho dato a Fallom perché si esercitasse... ci sono dei vecchi racconti popolari, dicevo, in cui a una persona sono concessi tre desideri, solo tre. Pare che il "tre" sia un numero significativo in queste cose, forse perché è il primo numero dispari, e quindi il numero determinante più piccolo. Sai, la vincita con due vittorie su tre possibilità... Comunque, il fatto è che in queste storie i desideri sono sempre inutili. Nessuno esprime mai quelli giusti, il che a mio avviso è un esempio di saggezza antica, che ci insegna che per ottenere qualcosa dobbiamo impegnarci e guadagnarcela, e non...

S'interruppe di colpo, avvilito. - Scusa, vecchio mio, ti sto facendo perdere tempo. Ho il vizio di divagare quando comincio a parlare della mia materia...

- Dici sempre cose interessanti, Janov. Comunque, capisco l'analogia. Ci sono stati concessi tre desideri, ne abbiamo espressi due finora, senza ottenere nulla. Ora ne rimane uno solo. Non so perché, ma sono sicuro di un nuovo fallimento, ed è appunto per questo che voglio rimandarlo il più possibile, che indugio tanto prima del balzo.

- Cosa farai se falliremo ancora? Tornerai su Gaia? Su Terminus?

- Oh, no - rispose Trevize sottovoce. - La ricerca deve continuare... Non so come, ma deve continuare.

 

 

 

14 - Pianeta morto.

 

LX

 

Trevize era depresso. Le poche vittorie conseguite dall'inizio della ricerca non erano mai state definitive, erano servite solo a rimandare momentaneamente la sconfitta.

Ora aveva prolungato eccessivamente l'attesa, prima del balzo verso il terzo Mondo Spaziale, ed era riuscito a contagiare col suo nervosismo i compagni di viaggio. Quando decise finalmente di ordinare al computer di proiettare la nave attraverso l'iperspazio, Pelorat era fermo sulla soglia della sala comandi, Bliss era dietro di lui, e c'era anche Fallom che stringeva la mano della ragazza e fissava Trevize con espressione di grottesca solennità.

Sollevando lo sguardo, Trevize commentò piuttosto irascibile, sfogando la propria inquietudine: - Bel quadretto familiare!

Ordinò al computer di effettuare il balzo in modo tale da rientrare nello spazio a una distanza dalla stella più grande del necessario. Si disse che stava comportandosi così perché dopo gli episodi successi sui primi due Mondi Spaziali stava imparando ad essere prudente, ma non ci credeva. Sotto sotto, e lo sapeva, si augurava di arrivare nello spazio normale a una distanza notevole dalla nuova stella, così sarebbe stato impossibile stabilire subito con precisione se avesse o meno un pianeta abitabile. E gli sarebbero rimasti alcuni giorni di viaggio prima di appurare la verità... e di dover fare i conti (forse) con la sconfitta.

Mentre il "quadretto familiare" lo osservava, Trevize inspirò a fondo, emise un sibilo a denti stretti, e impartì al computer le istruzioni finali.

La disposizione delle stelle subì un mutamento silenzioso, e lo schermo offrì un panorama più spoglio, perché erano giunti in un settore in cui le stelle erano più rade. E davanti a loro, quasi al centro, spiccava una stella dallo sfolgorio intenso.

Trevize sorrise. Era già una specie di vittoria. In fin dei conti la terza serie di coordinate avrebbe potuto essere sbagliata... Invece, ecco una stella di tipo G, dalle caratteristiche adatte.

Si girò verso gli altri e annunciò: - Eccola. La terza stella.

- Sei sicuro? - domandò sottovoce Bliss.

- Guarda! - disse Trevize. - Adesso passerò all'immagine equivalente della mappa galattica del computer... se quella stella sparirà, se non figurerà sulla mappa, allora non avremo più dubbi.

Il computer eseguì il suo ordine, e la stella si spense di colpo, scomparve come se non fosse mai esistita, mentre il resto del campo stellare restò identico a prima, maestoso e indifferente.

- Ci siamo - annuì Trevize.

Eppure fece procedere la Far Star a una velocità dimezzata rispetto a quella che avrebbe potuto facilmente mantenere. Restava ancora l'interrogativo della presenza o meno di un pianeta abitabile, e Trevize non aveva alcuna fretta di conoscere la risposta. Dopo tre giorni di avvicinamento, la questione era ancora in sospeso...

Non del tutto, forse... Perché attorno alla stella ruotava un gigante gassoso. Era molto lontano dalla stella, sfumato di un giallo pallidissimo sul suo lato diurno, che dalla posizione della Far Star appariva come uno spesso spicchio.

A Trevize non piaceva il suo aspetto, ma cercò di mascherare la cosa mentre parlava asciutto e conciso come una guida.

- C'è un grande gigante gassoso davanti a noi. È abbastanza spettacolare. Ha un paio di anelli sottili e due satelliti di considerevoli dimensioni visibili in questo momento.

Bliss disse: - Quasi tutti i sistemi solari comprendono giganti gassosi, no?

- Certo, però questo è un gigante gassoso molto grande. A giudicare dalla distanza dei suoi satelliti, e dai loro periodi di rivoluzione, questo gigante gassoso dovrebbe avere una massa duemila volte superiore a quella di un pianeta abitabile.

- Che differenza c'è? - osservò Bliss. - I giganti gassosi sono giganti gassosi, e le loro dimensioni non hanno importanza, vero? Si trovano sempre a notevole distanza dalla stella attorno alla quale orbitano, e non sono abitabili, per la loro mole e questa distanza. Dobbiamo esplorare la regione più vicina alla stella se vogliamo trovare un pianeta abitabile.

Trevize esitò, poi decise di mettere le carte in tavola. - Il fatto è che i giganti gassosi di solito svuotano un volume considerevole di spazio planetario. Il materiale che non incorporano nella loro struttura si consolida in grandi corpi celesti che formano poi i loro sistemi di satelliti. I giganti gassosi impediscono la formazione di altri corpi celesti entro un raggio notevolissimo... Per cui, più un gigante gassoso è grande, più è probabile che sia l'unico pianeta vero e proprio di un dato sistema solare... In pratica, avremo solo il gigante gassoso e degli asteroidi.

- Intendi dire che non ci sono pianeti abitabili qui?

- Più aumentano le dimensioni del gigante gassoso, più diminuiscono le probabilità di trovare un pianeta abitabile... e questo gigante gassoso è così imponente da essere quasi una stella nana.

Pelorat chiese: - Possiamo vederlo?

Tutti e tre fissarono lo schermo (Fallom era nella camera di Bliss coi libri).

L'immagine venne ingrandita, finché la mezzaluna non occupò tutto lo schermo. Sopra il centro, era solcata da una sottile linea scura, l'ombra del sistema anulare visibile oltre la superficie planetaria come una curva scintillante che penetrava per un breve tratto nel lato notturno prima di scomparire nell'oscurità.

Trevize spiegò: - L'asse di rotazione del pianeta è inclinato di circa trentacinque gradi rispetto al piano di rivoluzione, e gli anelli si trovano sul piano equatoriale, naturalmente, per cui la luce della stella proviene dal basso, a questo punto dell'orbita, e proietta l'ombra degli anelli al di sopra dell'equatore.

Pelorat osservava estasiato. - Sono sottili, quegli anelli.

- In realtà, sono di dimensioni superiori alla media - fece notare Trevize.

- Stando alla leggenda, gli anelli di un gigante gassoso del sistema planetario della Terra dovrebbero essere molto più ampi, più luminosi, e più elaborati di questi... Praticamente gli anelli dovrebbero far scomparire il gigante gassoso al confronto.

- Non mi sorprende - disse Trevize. - Quando una storia passa di persona in persona per migliaia d'anni, i particolari vengono ingigantiti, non credi?

Bliss disse: - È stupendo. Guardate la mezzaluna... sembra che si muova e si contorca.

- Perturbazioni atmosferiche - spiegò Trevize. - Si può vedere con maggior chiarezza scegliendo la lunghezza d'onda ottica adeguata. Ecco, ora provo. - Posò le mani sulla scrivania e ordinò al computer di operare una selezione nello spettro e di fermarsi sulla giusta lunghezza d'onda.

La mezzaluna pallida si trasformò in un caleidoscopio di colori che cambiavano a ritmo vertiginoso e che abbagliavano la vista se si cercava di seguirli. Infine, l'immagine si stabilizzò su una tinta rosso-arancione, e all'interno della mezzaluna si scorsero nette spirali in movimento che si attorcigliavano e si svolgevano.

- Incredibile - mormorò Pelorat.

- Delizioso - commentò Bliss.

Credibilissimo, rifletté con amarezza Trevize, e tutt'altro che delizioso. Estasiati dalla bellezza dello spettacolo, Bliss e Pelorat dimenticavano che la presenza del pianeta che stavano ammirando faceva diminuire le probabilità di soluzione del mistero che assillava Trevize. Del resto, perché avrebbero dovuto preoccuparsi, loro? Erano convinti che la decisione di Trevize fosse giusta, ed erano contenti così, accompagnandolo nella sua ricerca senza provare un coinvolgimento emotivo autentico. Era inutile incolparli della loro buona fede.

Trevize disse: Il lato notturno sembra scuro, ma se i nostri occhi fossero sensibili ai raggi luminosi leggermente al di là della gamma limite, vedremmo una fascia di rosso intenso, cupo. Il pianeta riversa nello spazio una quantità enorme di infrarosso perché è così massiccio da essere quasi incandescente. Più che un gigante gassoso, è una sub-stella.

Attese alcuni istanti, quindi proseguì: - E adesso lasciamo perdere il gigante gassoso e cerchiamo il pianeta abitabile... ammesso che ci sia.

- Può darsi che ci sia, no? - sorrise Pelorat. - Non arrenderti, vecchio mio.

- Non mi sono arreso - ribatté non troppo convinto Trevize. - La formazione dei pianeti è una materia troppo complicata perché ci si possa basare su regole precise. Siamo nel campo delle probabilità. Con quel mostro nello spazio, le probabilità diminuiscono, ma non fino a raggiungere lo zero.

Bliss disse: - Prova a cambiare prospettiva. Dato che le prime due serie di coordinate ci hanno portato su un pianeta abitabile, anche questa terza serie, che ci ha già permesso di individuare una stella di tipo giusto, dovrebbe condurci su un pianeta abitabile, no? Perché parlare di probabilità?

- Spero davvero che tu abbia ragione - fece Trevize, per nulla rincuorato. - Adesso ci sposteremo dal piano planetario e avanzeremo verso la stella.

Il computer eseguì la manovra quasi simultaneamente. Trevize si rilassò sul suo sedile di pilotaggio e per l'ennesima volta decise che le navi gravitazionali dotate di un computer tanto perfezionato presentavano un unico grande svantaggio... Dopo avere pilotato una nave del genere era impossibile riuscire a pilotare ancora una nave di vecchio tipo.

Come ci si poteva riabituare a tutti i calcoli necessari? A considerare l'accelerazione, e a limitarla a livelli ragionevoli? Probabilmente, lui se ne sarebbe dimenticato e avrebbe inserito energia fino a far spiaccicare contro le pareti interne tutti i passeggeri a bordo.

Be', in tal caso, avrebbe continuato a pilotare la Far Star... o una nave identica in tutto e per tutto, anche se l'idea di cambiare nave non gli andava affatto a genio.

E dato che non voleva pensare all'ipotetico mondo abitabile, si soffermò a riflettere sulla propria decisione di spingere la nave sopra il piano planetario, e non sotto. In mancanza di una ragione precisa per portarsi al di sotto di un piano, i piloti quasi sempre preferivano navigare al di sopra. Perché?

Perché ostinarsi a prendere in considerazione due direzioni come il sopra e il sotto? Nella simmetria dello spazio erano pure e semplici convenzioni.

Comunque, Trevize aveva sempre presente in che direzione un pianeta osservato ruotasse attorno al proprio asse e orbitasse attorno al proprio sole. Quando entrambi i movimenti erano in senso antiorario, la direzione indicata dal braccio alzato di una persona era il nord, quella indicata dai piedi era il sud. E in tutta la Galassia, il nord corrispondeva al sopra, il sud al sotto.

Una pura e semplice consuetudine che risaliva alle nebbie delle epoche primitive, che veniva seguita passivamente. Se si guardava una mappa conosciuta, col sud in alto non la si riconosceva. Bisognava girarla perché avesse un senso.

Trevize pensò a una battaglia combattuta da Bel Riose, il generale dell'Impero, tre secoli addietro... Bel Riose, aveva spostato la sua squadra sotto il piano planetario in una fase cruciale, cogliendo impreparata una formazione avversaria. C'erano state delle lamentele, sostenendo che si era trattato di una manovra scorretta... e a lagnarsi erano stati gli sconfitti, naturalmente.

Una consuetudine, fortissima e antichissima... che doveva essere nata sulla Terra... al che la mente di Trevize tornò di colpo al problema del pianeta abitabile.

Pelorat e Bliss continuavano a osservare il gigante gassoso che ruotava lentamente sullo schermo. La parte illuminata si allargò e, dato che Trevize non modificò la regolazione spettrale, i fenomeni superficiali di turbolenza divennero ancor più violenti e ipnotici.

Poi Fallom apparve all'improvviso in sala comandi, e Bliss decise che il piccolo solariano doveva fare un sonnellino, e che lei lo avrebbe imitato.

Pelorat rimase, e Trevize gli disse: - Devo abbandonare il gigante gassoso, Janov. Voglio che il computer si dedichi al rilevamento di un eventuale segnale gravitazionale della giusta entità.

- Certo, vecchio mio - annuì Pelorat.

Ma la questione non era così semplice. Il computer non doveva individuare soltanto un segnale gravitazionale di entità adeguata... anche la distanza doveva essere adeguata. Sarebbero trascorsi parecchi giorni prima che Trevize potesse avere una risposta.

 

LXI

 

Trevize entrò in camera sua, serio, molto serio... il termine giusto era cupo... e sussultò sorpreso.

Bliss lo aspettava, e accanto a lei c'era Fallom, col suo perizoma e la sua veste lavati e stirati da poco. Il suo abbigliamento originale gli donava di più di una delle camicie da notte di Bliss debitamente accorciate.

Bliss disse: - Non volevo disturbarti mentre eri impegnato al computer... ma adesso ascolta... Su, Fallom.

Con la sua vocetta melodiosa e acuta, Fallom disse: - Ti saluto, Protettore Trevize. È con grande piacere che io ti ap... ti ad... ti accompagno nello spazio su questa nave. Mi rende felice, inoltre, la bontà dei miei amici, Bliss e Pel.

Fallom terminò e sorrise, e Trevize si domandò per l'ennesima volta: "Lo considero un maschio o una femmina, o entrambe le cose, o nessuna delle due?"

Annuì. - Imparato a memoria alla perfezione. E pronunciato in modo pressoché perfetto, direi.

- Non è affatto un brano imparato a memoria - replicò Bliss. - Fallom l'ha composto personalmente, e ha chiesto di poterlo recitare a te. Non sapevo nemmeno cosa ti avrebbe detto fino a poco fa.

Trevize si sforzò di sorridere. - In tal caso, davvero ottimo - commentò, notando che Bliss evitava di usare i pronomi personali.

Bliss si rivolse a Fallom. - Te l'avevo detto che a Trevize sarebbe piaciuto... Ora vai da Pel. Se vuoi, puoi leggere ancora.

Fallom corse via, e Bliss disse: - È sorprendente la rapidità con cui impara il galattico. I Solariani devono essere particolarmente portati per le lingue. Pensa... Bander parlava il galattico, e lo aveva sentito solo nelle comunicazioni iperspaziali. I loro cervelli possiedono senza dubbio doti notevoli, a parte la trasduzione di energia.

Trevize sbuffò.

- Non dirmi che Fallom continua a non piacerti! - fece la ragazza.

- Non è questione di piacermi o meno... solo che quella creatura mi fa sentire a disagio. Innanzitutto, è una sensazione orribile, avere a che fare con un ermafrodita.

- Via, Trevize, è assurdo. Fallom è una creatura vivente accettabilissima... Pensa a quanto dobbiamo sembrare disgustosi noi due a un ermafrodita, allora! Due metà incomplete... un maschio e una femmina, che per riprodursi devono sottostare a una unione goffa e temporanea.

- Hai qualcosa in contrario, Bliss?

- Non fraintendermi. Sto cercando di vedere noi due dal punto di vista di un ermafrodita. Quello che per noi è del tutto naturale, per gli ermafroditi è ributtante. Se Fallom ti ispira ribrezzo, be', sappi che è solo perché sei di vedute ristrette e provinciali.

- Francamente, però, è seccante non sapere che pronome usare con quella creatura.

- È un difetto della nostra lingua - replicò Bliss. - Fallom non ha nessuna colpa. Non esiste alcuna lingua umana che si sia sviluppata tenendo conto dell'ermafroditismo. E mi fa piacere che tu abbia toccato l'argomento, perché io stessa ci ho pensato parecchio... Evitare un pronome particolare non mi pare una soluzione. Perché non ne scegliamo uno arbitrariamente? Quando penso a Fallom, io penso a una femmina. Innanzitutto, per la sua voce acuta, e poi perché ha la capacità di prolificare, una caratteristica basilare della femminilità. Pelorat è d'accordo con me... Perché non ti adegui anche tu? Consideriamola tutti una "lei".

Trevize si strinse nelle spalle. - Benissimo. Sembrerà un po' strano precisare che questa lei ha i testicoli... comunque, d'accordo.

Bliss sospirò. - Hai il brutto vizio di non prendere seriamente nulla, ma mi rendo conto che sei sottoposto a una tensione notevole e ti concederò questa attenuante... Comunque, usa il femminile quando parli di Fallom, per favore.

- Lo farò. - Trevize esitò un attimo, quindi, incapace di frenare la lingua, disse: - Ogni volta che vi vedo assieme, ho l'impressione che Fallom sia diventato... sia diventata una specie di figlia per te... Forse perché desideri un bambino, e credi che Janov non sia in grado di dartene uno?

Bliss spalancò gli occhi. - Janov non è qui per fare dei figli! Credi che mi serva di lui come di un comodo espediente per cercare di avere un bambino? Be', sappi che per me non è ancora giunto il momento di avere figli. E quando questo momento arriverà, dovrò mettere al mondo un bambino gaiano... e Pelorat non possiede certi requisiti.

- Intendi dire che Janov dovrà essere messo da parte?

- Assolutamente. Si tratterà solo di un episodio temporaneo. Potrebbe anche avvenire per inseminazione artificiale.

- Immagino che potrai avere un bambino solo quando Gaia stabilirà che è necessario, quando si creerà un vuoto in seguito alla morte di una componente umana di Gaia, vero?

- Sì, è vero, anche se ti sei espresso in termini molto brutali. Gaia deve essere ben proporzionata in tutte le sue parti.

- Come Solaria.

Bliss serrò le labbra, impallidendo. - Niente affatto. I Solariani producono più del necessario e distruggono l'eccedenza. Noi produciamo lo stretto necessario e non ci troviamo mai nella condizione di dover distruggere... proprio come tu sostituisci gli strati esterni morenti della tua pelle con nuovi strati di pelle, in cui il numero di cellule non supera di una sola unità la quantità occorrente.

- Certo, capisco - annuì Trevize. - Spero comunque che tu tenga conto dei sentimenti di Janov.

- Riguardo la nascita di un figlio mio? Non ne abbiamo mai discusso, e non ne discuteremo nemmeno in futuro.

- No, non mi riferivo a questo... Il fatto è che mi sembri sempre più attaccata a Fallom. Ecco, Janov potrebbe sentirsi trascurato.

- Non lo trascuro affatto, e anche Janov ha un profondo attaccamento verso Fallom. Fallom è un altro fattore comune che rafforza se mai il nostro legame e ci unisce ulteriormente. Non sarai tu a sentirti trascurato, eh?

- Io? - Lo stupore di Trevize era autentico.

- Sì, tu. Non capisco gli Isolati, come tu non capisci Gaia, ma ho l'impressione che ti piaccia essere al centro dell'attenzione su questa nave... e con l'arrivo di Fallom può darsi che ti senta in secondo piano.

- Sciocchezze.

- Come quando sostieni che forse sto trascurando Janov.

- Senti, stabiliamo una tregua, allora, e smettiamola. Io cercherò di considerare Fallom una femmina, e non mi preoccuperò eccessivamente della tua mancanza di riguardo per i sentimenti di Janov.

Bliss sorrise. - Grazie. Tutto a posto, dunque.

Trevize fece per andarsene, e lei lo fermo. - Aspetta!

Lui si girò e, un po' stancamente, disse: - Sì?

- Trevize, è evidente che sei triste e depresso. Io non sonderò la tua mente... comunque, potresti dirmi che c'è che non va... Ieri hai detto che in questo sistema c'è un pianeta adatto, e sembravi abbastanza soddisfatto... C'è ancora, spero... Non è stata una scoperta errata, eh?

- Già, c'è un pianeta adatto in questo sistema... c'è ancora.

Le sue dimensioni sono giuste?

Trevize annuì. - Dal momento che è adatto, le sue dimensioni sono giuste... Ed è anche a una distanza giusta dalla sua stella.

- Be', allora cosa c'è che non va?

- Siamo abbastanza vicini da analizzare l'atmosfera, adesso... Ma, guarda caso, ho appena scoperto che questo pianeta non ha un'atmosfera.

- Non ha atmosfera?

- No, non ha un'atmosfera vera e propria. È inabitabile, e non esiste nessun altro pianeta abitabile in orbita attorno a questo sole... Il terzo tentativo non è servito a nulla.

 

LXII

 

Pelorat, l'aria cupa, era chiaramente restio a interrompere il silenzio infelice di Trevize. Rimase a guardare dalla porta della sala comandi, sperando che l'amico si decidesse ad avviare la conversazione.

Trevize non lo fece, chiudendosi in un silenzio più ostinato che mai.

Infine, superato il limite della sopportazione, Pelorat esordì timidamente: - Cosa stiamo facendo?

Trevize alzò gli occhi, fissò Pelorat un istante, si voltò, quindi rispose: - Stiamo puntando sul pianeta.

- Ma se è privo di atmosfera...

- Il computer dice che non c'è atmosfera. Finora mi ha sempre detto quello che volevo sentire, e l'ho accettato. Adesso invece mi ha detto qualcosa che non mi sta bene, per cui intendo controllare... Ammesso che il computer possa sbagliare, be', vorrei proprio che questa volta si sbagliasse.

- Credi che si sbagli?

- No.

- C'è qualche motivo per cui potrebbe sbagliarsi?

- Non credo.

- Allora, perché prendersi la briga di controllare, Golan?

Trevize girò il sedile verso Pelorat, i lineamenti contratti in una smorfia quasi disperata. - Non capisci, Janov? Non mi viene in mente nient'altro da fare! Sui primi due mondi non siamo approdati a nulla per quanto riguarda la posizione della Terra, e anche questo terzo mondo non ci rivelerà nulla. Cosa posso fare, adesso? vagare di mondo in mondo, guardarmi attorno e chiedere: «Scusate. Dov'è la Terra?» La Terra ha nascosto troppo bene le sue tracce. Non ha lasciato in giro il minimo indizio. Comincio a pensare che anche se esistesse ancora qualche indizio la Terra in un modo o nell'altro riuscirebbe a farcelo sparire sotto gli occhi.

Pelorat annuì. - Anch'io ho pensato la stessa cosa. Ti spiace se ne discutiamo? So che sei abbattuto, vecchio mio, e che non hai voglia di parlare, quindi se preferisci che ti lasci in pace, lo farò.

- No, parla pure - gemette Trevize. - Tanto, cos'altro posso fare se non ascoltare?

- Non sei molto incoraggiante, comunque forse ci sarà utile una chiacchierata. E quando sarai stanco di partecipare, interrompimi tranquillamente, d'accordo?... Ecco, secondo me, Golan, può darsi che la Terra non adotti soltanto misure passive per nascondersi... può darsi che non si limiti a cancellare qualsiasi traccia che la riguardi. E se mettesse in giro prove false? Se operasse in maniera attiva per creare una barriera di oscurità, confondendo le acque?

- Cioè?

- Be', in parecchi posti abbiamo sentito parlare della radioattività della Terra, il che sarebbe un ottimo sistema per scoraggiare qualsiasi tentativo di localizzarla. In caso di radioattività reale, sarebbe inavvicinabile, e anche dei robot esploratori, se ne avessimo, forse non resisterebbero alle radiazioni. Quindi, perché cercare? Così anche se la Terra non fosse radioattiva, rimarrebbe inviolata, a parte magari un avvicinamento accidentale... nel qual caso potrebbe disporre di altri mezzi per mimetizzarsi.

Trevize abbozzò un sorriso. - Sai, Janov, pure a me è venuta in mente la stessa cosa. Anzi, ho addirittura pensato che quell'inverosimile satellite gigantesco sia stato inventato e inserito poi nelle leggende terrestri... Anche il gigante gassoso col suo mostruoso sistema di anelli forse è solo una costruzione immaginaria per confondere le idee... Può darsi che tutti questi particolari siano stati creati apposta per spingerci a cercare qualcosa che non esiste... per far sì che attraversiamo il sistema planetario giusto, che raggiungiamo la Terra e che ci allontaniamo appunto perché mancano il satellite gigante o un pianeta con tre anelli o la crosta radioattiva... E arrivo a immaginare anche di peggio, Janov.

Pelorat sembrava demoralizzato. - Di peggio? Come è possibile?

- Non è difficile... quando la mente nel cuore della notte comincia a frugare morbosamente nella dimensione smisurata dell'immaginario in cerca di qualcosa che renda la disperazione ancor più intensa... E se le capacità... le capacità mimetiche della Terra fossero assolute? Se fosse in grado di annebbiarci addirittura la mente? Pensa... Potremmo oltrepassare la Terra, col suo satellite gigante, col suo gigante gassoso circondato dai tre anelli, senza vedere né l'uno né l'altro! E se fosse già successo?

- Ma se credi certe cose, come mai adesso stiamo...

- Non dico di crederci. Sto parlando di fantasie assurde. Continueremo a cercare, noi.

Pelorat ebbe un attimo di esitazione. - Per quanto tempo? Un giorno o l'altro, sicuramente, dovremo rinunciare.

- Mai - sbottò Trevize in tono rabbioso. - Continuerò, anche a costo di passare il resto della mia vita spostandomi di pianeta in pianeta e chiedendo: «Scusate, signore, dov'è la Terra?...» Comunque, quando sarete stanchi, basta che me lo diciate, e riporterò te e Bliss e perfino Fallom su Gaia, per ripartire da solo.

- Oh, no. Sai che non ti abbandoneremo, Golan. Viaggeremo di pianeta in pianeta insieme a te, se necessario... Ma... perché?

- Perché io devo trovare la Terra. E la troverò. Non so come ma la troverò... Adesso, ascolta... sto cercando di raggiungere una posizione da cui sia possibile studiare il lato diurno del pianeta senza che il suo sole sia troppo vicino, quindi lasciami solo per un po'.

Pelorat tacque, ma non se ne andò. Rimase ad osservare, mentre Trevize fissava l'immagine planetaria, illuminata per più di metà, sullo schermo. A Pelorat sembrava indistinta, però sapeva che Trevize, collegato al computer, poteva vederla in condizioni ben diverse.

Trevize d'un tratto mormorò: - C'è della foschia.

- Allora dev'esserci un'atmosfera - esclamò Pelorat.

- Non è detto... Non un'atmosfera vera e propria, sufficiente a consentire l'esistenza della vita... comunque, quanto basta a formare un vento lieve che sollevi della polvere. È una caratteristica nota dei pianeti con un'atmosfera rarefatta. Può darsi che ci siano anche delle piccole calotte polari... Una modesta quantità di ghiaccio acqueo condensato ai poli. È un mondo troppo caldo perché l'anidride carbonica possa esistere allo stato solido... Dovrò passare al rilevamento radar, così potrò lavorare meglio soprattutto sul lato notturno... Avrei dovuto farlo subito, ma con un pianeta privo d'aria e quindi di nubi il rilevamento visivo diretto è stato quasi un riflesso automatico.

Trevize restò in silenzio a lungo, mentre sullo schermo si accavallano le immagini riflesse del radar, formando una specie di costruzione astratta che avrebbe potuto essere opera di un artista del periodo Cleoniano. Poi Trevize disse: - Bene... - E lasciò il resto in sospeso.

Pelorat attese alcuni istanti, infine non poté fare a meno di chiedere: - "Bene", cosa?

Trevize lo guardò. - Non ci sono crateri, pare.

- Niente crateri? È un buon segno?

- È qualcosa che non mi sarei mai aspettato - sorrise Trevize. - Ed è un ottimo segno... Eccezionale, forse.

 

LXIII

 

Fallom restò col naso incollato all'oblò della nave, attraverso il quale era visibile una minuscola parte dell'Universo, direttamente, a occhio nudo, senza l'intervento filtrante e di ingrandimento del computer.

Bliss, che aveva cercato di spiegare tutto quanto, sospirò e si rivolse sottovoce a Pelorat. - Pel, caro, non so fino a che punto riesca a capire. Per lei, la residenza del padre e una piccola parte della tenuta rappresentavano l'Universo intero. Non credo che sia mai stata fuori di notte, non credo che abbia mai visto le stelle.

- Davvero?

- Certo. Prima di mostrarle qualcosa, ho aspettato che disponesse di un vocabolario sufficiente a capirmi un po'... ed è stata una fortuna che tu abbia potuto parlarle nella sua lingua.

- Il guaio è che non so farlo tanto bene - si scusò Pelorat. - E in effetti l'Universo è un argomento piuttosto difficile da afferrare così a freddo. Mi ha detto che se quelle lucine sono grandi mondi, mondi come Solaria, è impossibile che stiano sospesi nel nulla. Secondo lei, dovrebbero cadere.

- E ha ragione, partendo da quel poco che sa. Ma fa domande intelligenti, e gradualmente capirà. Perlomeno, è curiosa, e non ha paura.

- Il fatto è, Bliss, che anch'io sono curioso. Hai notato come è cambiato Golan non appena ha scoperto che non c'erano crateri sul pianeta verso cui siamo diretti? Non ho la più pallida idea di cosa possa significare un particolare del genere, io. E tu?

- Neppure io. Comunque, lui è più esperto di noi in planetologia, e senza dubbio sa quel che fa.

- Già, però vorrei saperlo anch'io.

- Be', chiediglielo.

Pelorat fece una smorfia. - Ho sempre paura di disturbarlo. Secondo me, Trevize è convinto che dovrei sapere certe cose senza bisogno di delucidazioni.

Bliss disse: - Figurati, Pel. Lui non esita a rivolgerti delle domande quando si tratta di chiarificazioni su certi aspetti dei miti e delle leggende della Galassia che potrebbero esserci utili. Tu sei sempre pronto a spiegare, no, quindi perché lui non dovrebbe esserlo? Vai a chiedergli quello che ti interessa. E se si seccherà, be', sarà un'ottima occasione per abituarsi ad essere socievole, cosa di cui ha bisogno.

- Mi accompagni?

- No. Voglio rimanere con Fallom e cercare di fargli afferrare il concetto dell'Universo. E se ti spiegherà qualcosa, puoi sempre riferirmela in seguito.

 

LXIV

 

Pelorat entrò nella sala comandi circospetto, e notò con piacere che Trevize fischiettava tra sé, chiaramente di buon umore.

- Golan...

Trevize alzò lo sguardo. - Janov! Entri sempre in punta di piedi! Guarda che non è reato disturbarmi... Chiudi la porta e siediti. Siediti e dà un'occhiata!

Indicò il pianeta sullo schermo e continuò: - Ho trovato solo un paio di crateri, tutti molto piccoli.

- E questo è un fatto importante, Golan?

- Importante? Eccome! Come puoi chiedermelo?

Pelorat si strinse nelle spalle. - Per me è tutto un mistero. Studiavo storia all'università... sociologia e psicologia come materie secondarie, e anche lingue e letteratura, soprattutto antica... e mi sono laureato in mitologia. La planetologia è un campo estraneo per me, come qualsiasi altra scienza fisica.

- Be', non c'è nulla di male, Janov. Quello che sai, mi va benissimo. La tua conoscenza delle lingue antiche e della mitologia ci è stata di grande utilità, e non c'è bisogno che te lo ripeta... La planetologia lasciala pure a me. Nessun problema - lo rassicurò Trevize. E proseguì. - Vedi, Janov, i pianeti si formano in seguito alla fusione violenta di oggetti più piccoli. Gli ultimi oggetti che si scontrano lasciano come impronta dei crateri. Potenzialmente, beninteso. Se un pianeta è abbastanza grande da essere un gigante gassoso, avremo essenzialmente un pianeta liquido sotto un'atmosfera gassosa, e le ultime collisioni, per la componente liquida, non lasceranno alcuna traccia.

"Sui pianeti più piccoli, e pertanto solidi, indipendentemente dalla loro natura rocciosa o ghiacciata, i crateri invece sono impronte ben visibili, che rimarranno finché non interverrà un agente esterno a cancellarli. Esistono tre tipi di agenti di cancellazione... chiamiamoli così.

"Primo... un mondo può avere una superficie ghiacciata che ricopre uno strato liquido. In questo caso, un oggetto collisivo penetrerà attraverso il ghiaccio e affonderà. Il ghiaccio però si riformerà, cicatrizzando la ferita, per così dire. Un pianeta, o un satellite, di questo tipo sarà per forza molto freddo e non avrà caratteristiche di abitabilità.

"Secondo... se un pianeta ha una intensa attività vulcanica, allora un flusso costante di lava, o una caduta di ceneri, riempirà e cancellerà definitivamente qualsiasi cratere della superficie. Anche in questo caso, è chiaro che il pianeta non sarà abitabile.

"Il terzo caso riguarda i mondi abitabili... Questi mondi possono avere calotte polari, ma la maggior parte degli oceani deve essere allo stato liquido. Possono avere dei vulcani attivi, ma i vulcani non devono essere in numero eccessivo né troppo concentrati. Questi mondi non possono cicatrizzare i crateri, né riempirli. Ci sono comunque gli effetti dell'erosione. Il vento e l'acqua eroderanno i crateri, e in presenza di forme di vita, be', sappiamo che anche l'azione degli esseri viventi è fortemente erosiva. Capito?"

Pelorat rifletté un attimo. - Ma, Golan... non ti capisco affatto. Questo pianeta al quale stiamo avvicinandoci...

- Atterreremo domani - precisò allegro Trevize.

- Questo pianeta non ha oceani...

- Solo minuscole calotte polari.

- E non ha neppure un'atmosfera vera e propria...

- La densità della sua atmosfera corrisponde a un centesimo di quella di Terminus.

- E non ha forme di vita...

- Stando ai rilevamenti, no.

- Allora, cosa può aver cancellato i crateri?

- Gli oceani, un'atmosfera, e delle forme di vita - rispose Trevize. - Ascolta, se questo pianeta fosse stato privo di aria e di acqua fin dall'inizio, i crateri formatisi esisterebbero ancora. L'assenza di crateri dimostra che un tempo l'aria e l'acqua non mancavano, che forse in un passato abbastanza recente esistevano degli oceani e un'atmosfera di dimensioni notevoli. Inoltre, si vedono enormi bacini, che una volta contenevano senza dubbio dei mari, e numerosi alvei di fiumi, che adesso naturalmente sono asciutti. Quindi, l'erosione c'era, non è cessata da molto tempo, infatti non si sono potuti formare molti crateri.

Pelorat sembrava dubbioso. - Non sarò un planetologo... ma direi che se un pianeta è abbastanza grande da avere avuto un'atmosfera, per qualche miliardo d'anni, magari... be', ecco, mi pare impossibile che possa perderla così all'improvviso, no?

- Sono d'accordo - annuì Trevize. - Comunque, questo mondo indubbiamente ospitava la vita prima che la sua atmosfera scomparisse... la vita umana, probabilmente. Immagino che fosse un mondo terraformato, come quasi tutti i mondi abitati della Galassia. Il guaio è che non sappiamo in che stato fosse prima dell'arrivo dell'umanità, né cosa sia stato fatto per adattarlo agli esseri umani, né in quali circostanze la vita sia scomparsa. Forse si è verificata una catastrofe che ha risucchiato tutta l'atmosfera, provocando la fine della vita. Forse su questo pianeta esisteva qualche strano squilibrio, che gli esseri umani anno tenuto sotto controllo finché sono rimasti qui, e che ha innescato un processo di disgregamento atmosferico quando l'umanità se n'è andata. Può darsi che troviamo la risposta quando atterreremo. Comunque, non è che abbia importanza.

- E che importanza può avere il fatto che un tempo qui ci fosse la vita, se adesso non c'è più? Non vedo la differenza tra un pianeta inabitabile da sempre e uno inabitabile solo in un secondo tempo.

- Su un pianeta diventato inabitabile solo in un secondo tempo, si trovano delle rovine lasciate dai suoi vecchi abitanti.

- Su Aurora c'erano delle rovine, ma...

- Certo, però su Aurora c'erano stati ventimila anni di pioggia e di neve, di gelo e di disgelo, di vento e di cambiamenti di temperatura. E c'era anche la vita, ricorda. Non c'erano esseri umani, ma c'erano parecchie forme di vita. Le rovine subiscono lo stesso processo di erosione dei crateri. Anzi, lo subiscono più in fretta. E dopo ventimila anni, non rimaneva nulla che potesse esserci utile... Su questo pianeta, invece, nonostante il tempo trascorso, sono mancate le intemperie, la vita. Si sono avuti solo dei cambiamenti di temperatura. Quindi troveremo dei resti ancora in buono stato.

- Sempre che esistano - mormorò dubbioso Pelorat. - Forse su questo pianeta non è mai esistita alcuna forma di vita, di vita umana almeno... forse la scomparsa dell'atmosfera è stata causata da qualche evento naturale estraneo all'opera dell'uomo.

- No, no - disse Trevize. - È inutile che cerchi di contagiarmi col tuo pessimismo, perché malgrado la distanza ho già individuato i resti di quella che un tempo era sicuramente una città... Quindi, domani atterriamo.

 

LXV

 

Bliss disse preoccupata: - Fallom è convinta che la riporteremo da Jemby, il suo robot.

- Mmmm - borbottò Trevize; studiando la superficie del mondo che scorreva sotto la nave. Poi alzò lo sguardo e commentò: - Be', era l'unico genitore che conoscesse, no?

-Certo... però crede che siamo tornati su Solaria.

- Assomiglia a Solaria?

- Come può saperlo, lei?

- Dille che non è Solaria. Ascolta, ti darò un paio di videolibri illustrati. Mostrale un po' di immagini di mondi e spiegale che esistono milioni di mondi come quelli. Il tempo non ti mancherà. Non so per quanto dovremo esplorare la zona, Janov ed io, dopo che avremo scelto un obiettivo interessante e saremo atterrati.

- Tu e Janov?

- Sì. Fallom non può venire con noi, nemmeno se volessi, e sarei un pazzo a volerlo. Su questo mondo sono necessarie le tute spaziali, Bliss. Non c'è aria respirabile. E non abbiamo una tuta che vada bene a Fallom. Quindi tu e lei rimarrete sulla nave.

- Perché proprio io?

Trevize piegò e labbra in un sorrisetto forzato. - Lo ammetto... mi sentirei più sicuro se venissi anche tu, ma non possiamo lasciare sola Fallom a bordo. Potrebbe fare dei danni, anche involontariamente. E Janov deve venire con me, perché se ci fossero delle scritte arcaiche potrebbe essere in grado di decifrarle. Il che significa che dovrai restare qui con Fallom. Pensavo che l'avresti fatto volentieri.

Bliss sembrava incerta.

Trevize disse: - Senti, sei stata tu a voler portare Fallom, non io. Io sono convinto che ci creerà solo dei guai... Bene, se la sua presenza comporta delle limitazioni, dovrai adattarti. Chiaro?

Bliss sospirò. - Già... hai ragione.

- Perfetto. Dov'è Janov?

- È con Fallom.

- Benissimo. Vai a sostituirlo. Voglio parlargli.

Trevize stava ancora studiando la superficie del pianeta, quando Pelorat entrò schiarendosi la voce per annunciare la propria presenza.

- Qualcosa che non va, Golan?

- No, Janov. Sono solo un po' indeciso. È un pianeta strano, e non so cosa sia successo laggiù. I mari dovevano essere estesi, a giudicare dai bacini rimasti, però erano poco profondi. Dalle tracce rimaste, direi che era un mondo di dissalazione o di canali... o può darsi che i mari non fossero molto salati. In tal caso si spiegherebbe l'assenza di depositi salini consistenti nei bacini... O può anche darsi che con la scomparsa degli oceani sia scomparso pure il contenuto salino... e questa avrebbe tutta l'aria di essere opera dell'uomo.

Pelorat disse esitante: - Scusa la mia ignoranza, Golan... ma tutte queste cose c'entrano con quanto stiamo cercando?

- No, non credo. Ma non posso fare a meno di essere curioso. Mi piacerebbe sapere come è stato terraformato questo mondo, e com'era prima... Allora forse capirei cos'è successo dopo che è stato abbandonato... o poco prima, forse... E se sapessimo cos'è successo, potremmo essere al riparo da sorprese spiacevoli.

- Che genere di sorprese? È un mondo morto, no?

- Direi di sì, in linea di massima. Pochissima acqua, atmosfera rarefatta e irrespirabile, e Bliss non capta alcun segno di attività mentale.

- Allora non dovrebbero esserci problemi, no?

- L'assenza di attività mentale non comporta necessariamente l'assenza di forme di vita.

- Ma comporta sicuramente l'assenza di forme di vita pericolose.

- Non lo so... Ma non è per questo che volevo parlarti. Ci sono due città che potrebbero prestarsi a una nostra prima esplorazione. Sembrano in buono stato, come tutte le città. Qualsiasi cosa abbia distrutto l'aria e gli oceani, evidentemente non ha toccato le città. Comunque queste due città sono piuttosto grandi. La più grande non dispone di spazi vuoti... Ci sono degli spazioporti ai margini, ma nella città vera e propria nulla. La più piccola invece ha qualche spazio libero, quindi sarà più facile scendere nella zona che ci interessa...

Pelorat fece una smorfia. - Vuoi che sia io a decidere, Golan?

- No, deciderò io. Mi interessa solo il tuo parere.

- Per quel che può valere... Ecco, una città molto estesa, con uno sviluppo caotico, dovrebbe essere un centro commerciale o industriale. Una città più piccola, con spazi aperti, dovrebbe essere invece un centro amministrativo. E a noi interessa soprattutto un centro amministrativo... Ci sono degli edifici monumentali?

- Cosa intendi per "edificio monumentale"?

Pelorat sorrise: uno dei suoi sorrisetti impacciati e piuttosto rari. - Non saprei, di preciso. Le mode cambiano, da un mondo all'altro, e col trascorrere del tempo. Comunque, tendenzialmente un edificio monumentale dovrebbe avere un'aria imponente, inutile, e dispendiosa... Come quello che abbiamo visto su Comporellen.

Trevize sorrise a sua volta. - È difficile distinguere bene dall'alto, e anche la vista laterale in movimento è piuttosto confusa... perché sceglieresti il centro amministrativo?

- Perché probabilmente è lì che troveremo il museo planetario, la biblioteca planetaria, gli archivi, l'università, e via dicendo.

- Bene. Allora andremo là, nella città più piccola. E forse troveremo qualcosa. Abbiamo mancato il bersaglio due volte, ma può darsi che questa volta vada diversamente.

Già, forse saremo tre volte fortunati.

Trevize corrugò la fronte. - Dove hai trovato questa espressione?

- È antica. L'ho trovata in una leggenda antica. Credo che significhi: successo al terzo tentativo.

- Sì, suona bene... D'accordo, allora... tre volte fortunati, Janov.

 

 

 

15 - Muschio.

 

LXVI

 

Trevize era grottesco nella sua tuta spaziale. L'unica parte che rimanesse all'esterno erano le fondine... non quelle che allacciava normalmente sui fianchi, bensì quelle più solide che facevano parte della tuta stessa. Trevize infilò attentamente il disintegratore nella fondina di destra, e la frusta neuronica in quella di sinistra. Le armi erano state ricaricate, e questa volta nulla sarebbe riuscito a strappargliele, pensò Trevize con rabbia.

Bliss sorrise. - Porti delle armi anche su un mondo senz'aria e... Come non detto! Non discuterò le tue decisioni.

- Bene! - annuì Trevize, e si girò per aiutare Pelorat a infilare il casco, prima di mettere il proprio.

Pelorat, che non aveva mai indossato una tuta spaziale, domandò in tono piagnucoloso: - Ma riuscirò davvero a respirare chiuso in questo aggeggio, Golan?

- Te lo garantisco.

Bliss rimase a osservare, mentre le ultime giunture venivano sigillate, cingendo le spalle di Fallom. La giovane solariana fissava allarmata le due figure in tuta; stava tremando, e Bliss le diede una lieve stretta rassicurante.

Il portello della camera stagna si aprì, e i due entrarono agitando le braccia in segno di saluto. Poi il portello si richiuse. Il portello esterno si aprì, e Trevize e Pelorat sbarcarono goffamente sul pianeta morto.

Era l'alba. Il cielo era limpido, naturalmente, sfumato di porpora, ma il sole non era ancora sorto. All'orizzonte, leggermente più chiaro, si notava una lieve foschia.

- C'è freddo - esordì Pelorat.

- Hai freddo? - fece Trevize, sorpreso. Le tute erano ben isolate, e se mai l'inconveniente era che di tanto in tanto si accumulava all'interno troppo calore corporeo.

- No, assolutamente - rispose Pelorat. - Ma, guarda... E indicò col dito, mentre la sua voce giungeva chiara a Trevize via radio.

Nella luce purpurea dell'alba, la facciata cadente di pietra dell'edificio verso cui stavano dirigendosi era coperta di brina.

Trevize disse: - Con un'atmosfera rarefatta, la notte è molto fredda e il giorno caldissimo. Questa dovrebbe essere la parte più gelida della giornata, e dovrebbero trascorrere parecchie ore prima che la temperatura salga troppo perché possiamo esporci al sole.

Quasi avesse pronunciato una parola magica, il bordo del sole affiorò sopra l'orizzonte.

- Non guardarlo - disse Trevize. - La tua visiera è riflettente e filtra gli ultravioletti, ma sarebbe ugualmente pericoloso.

Volse le spalle al sole, e lasciò che la propria ombra si allungasse sull'edificio. Il sole stava già sciogliendo la brina. Per alcuni istanti, il muro diventò scuro, macchiandosi di umidità, poi scomparve anche quella.

Trevize commentò: - Gli edifici non sono tanto in buono stato, visti da vicino. Sono pieni di crepe e si stanno sgretolando. È il risultato del cambiamento di temperatura, immagino, e del fatto che delle tracce d'acqua gelano e si sciolgono ogni notte e ogni giorno, magari da migliaia d'anni.

Pelorat disse: - Ci sono delle lettere incise nella pietra sopra l'ingresso, ma non è facile leggere con tutte quelle incrinature.

- Riesci a capire qualcosa, Janov?

- Dovrebbe trattarsi di una specie di istituto finanziario. Almeno, mi pare di distinguere una parola che potrebbe essere "banca".

- Sarebbe?

- Un'edificio in cui i beni vengono depositati, ritirati, investiti, scambiati, prestati... se non sbaglio.

- Un intero edificio adibito a questo? Senza computer?

- Senza il controllo completo dei computer.

Trevize si strinse nelle spalle. Certi particolari della storia antica non gli interessavano.

Perlustrarono la zona, sempre più in fretta, soffermandosi in ogni edificio il minimo indispensabile. Il silenzio, l'aria di morte che li circondava, erano deprimenti. Il lento collasso millenario che erano venuti a disturbare aveva trasformato quel posto in una specie di scheletro di città, in cui non restavano che le ossa.

Erano abbondantemente nella zona temperata, ma Trevize aveva l'impressione di sentire sulla schiena il calore del sole.

Un centinaio di metri sulla sua destra, Pelorat disse d'un tratto: - Guarda qua!

Trevize sussultò. - Non urlare, Janov. Posso sentirti benissimo anche sottovoce, a qualsiasi distanza... Cosa c'è?

Pelorat, abbassando la voce, disse: - Questo edificio è il "Palazzo dei Mondi"... Cioè, credo che sia questo il significato della scritta...

Trevize lo raggiunse. Di fronte a loro c'era una costruzione di due piani. La linea del tetto era irregolare, ingombra di frammenti di roccia... sculture crollate, forse.

- Ne sei certo? - chiese Trevize.

- Se entriamo, lo scopriremo.

Salirono cinque ampi gradini, e attraversarono una piazza in cui lo spazio si sprecava. Nell'aria rarefatta, le loro calzature metalliche producevano una vibrazione frusciante più che un rumore vero e proprio.

- Adesso capisco cosa intendevi quando hai parlato di qualcosa di "imponente, inutile e dispendioso" - borbottò Trevize.

Entrarono in un salone. La luce del sole penetrava attraverso grandi finestre, illuminando l'interno in modo troppo vivido, fastidioso, nei punti che colpiva, ma lasciando sacche di oscurità. Anche questo dipendeva dalla rarefazione dell'atmosfera.

Al centro della sala c'era una figura umana in grandezza superiore al naturale, di pietra sintetica, apparentemente. Un braccio era caduto. L'altro braccio era incrinato alla spalla, e probabilmente sarebbe bastata una lieve pressione per far cadere anche quello, rifletté Trevize. Indietreggiò, quasi temesse di cedere a una simile tentazione vandalica.

- Chissà chi è? Non vedo nessuna scritta. Senza dubbio doveva essere un personaggio famoso, se chi ha collocato qui questa scultura ha pensato bene di tralasciare qualsiasi indicazione.

Pelorat stava guardando in alto, e Trevize seguì la direzione del suo sguardo. C'erano dei simboli, incisi su una parete, che Trevize non era in grado di leggere.

- Sorprendente! - esclamò Pelorat. - Avranno forse ventimila anni, eppure trovandosi qui dentro, un po' al riparo dal sole e dall'umidità, sono ancora leggibili.

- Non per me.

- Sono caratteri antichi, e particolarmente elaborati. Vediamo... sette... uno... due - La voce di Pelorat si perse in un borbottio confuso, poi tornò comprensibile. - Sono riportati cinquanta nomi là... e dato che i Mondi Spaziali dovrebbero essere stati cinquanta, e che questo è il "Palazzo dei Mondi"... sì, secondo me, quelli sono i nomi dei cinquanta Mondi Spaziali, probabilmente in ordine di fondazione. Aurora è il primo, e Solaria è l'ultimo. Come puoi notare, ci sono sette colonne, con sette nomi nelle prime sei, e otto nell'ultima colonna. Si direbbe quasi che avessero progettato uno schema simmetrico, sette per sette, e che abbiano aggiunto Solaria solo in seguito. A mio avviso, vecchio mio, quella lista risale a un periodo precedente alla terraformazione e al popolamento di Solaria.

- E noi su quale pianeta ci troveremmo? Sapresti dirlo?

- Se guardi bene, vedrai che il quinto nome della terza colonna, il diciannovesimo dunque, è scritto in lettere un po' più grandi delle altre. Gli autori di questo elenco dovevano essere abbastanza egocentrici da volersi porre in primo piano. E poi...

- E quale sarebbe questo nome?

- Per quel che riesco a leggere io, Melpomenia, mi pare... È un nome che non ho mai sentito.

- Potrebbe rappresentare la Terra?

Pelorat scosse la testa deciso, anche se esternamente il casco non si muoveva. - Nelle vecchie leggende, la Terra viene indicata con decine di nomi. Come sai, Gaia è uno di questi. Poi abbiamo Earth, Erda, e tanti altri... Sono tutti brevi. Non mi risulta che in questo caso esistano nomi lunghi, e nemmeno che esista qualche nome corrispondente ad una forma abbreviata di Melpomenia.

- Dunque, siamo su Melpomenia... e non è la Terra.

- Già. Inoltre, come stavo per dire prima, un indizio ancor più significativo delle lettere più grandi è che le coordinate di Melpomenia vengono indicate con O, O, O... il che è logico se si tratta di coordinate che si riferiscono al proprio pianeta.

- Coordinate? - Quella lista da anche le coordinate? - chiese Trevize frastornato.

- Ci sono tre cifre per ogni nome. Secondo me sono coordinate. Che altro potrebbero essere?

Trevize non rispose. Aprì un piccolo scomparto della tuta sulla coscia destra ed estrasse un minuscolo apparecchio collegato alla tuta da un cavetto. Lo accostò all'occhio e lo mise a fuoco inquadrando con cura le scritte sulla parete, muovendo con una certa difficoltà le dita guantate.

- Una telecamera? - fu la domanda superflua di Pelorat.

- Riverserà l'immagine direttamente nel computer di bordo.

Trevize scattò diversi fotogrammi da angolazioni diverse, poi disse: Un attimo! Devo salire più in alto. Aiutami, Janov.

Pelorat intrecciò le mani, ma Trevize fece cenno di no. - Così non sosterrai il mio peso. Mettiti carponi.

Pelorat si inginocchiò, a fatica, e altrettanto faticosamente, dopo avere riposto la camera nella tuta, Trevize montò sulle spalle dell'amico e da lì passò sul piedistallo della statua. Provò a scuotere adagio la statua per stabilirne la solidità, poi appoggiò il piede su un ginocchio piegato e lo usò come base per issarsi e aggrapparsi alla spalla mutilata. Puntando i piedi contro alcune sporgenze irregolari del torace, si sollevò, e finalmente riuscì a sedersi sbuffando sulla spalla. Non era certo un gesto riguardoso, se si pensava alle persone scomparse che un tempo avevano venerato la statua e ciò che rappresentava, e Trevize se ne rendeva conto e si lasciò influenzare, infatti cercò di sedere con la maggior leggerezza possibile.

- Cadrai! Ti farai male! esclamò apprensivo Pelorat.

- Non cadrò, e non mi farò male... Tu piuttosto, intendi farmi diventare sordo? - Trevize prese di nuovo l'apparecchio e mise a fuoco. Dopo parecchi scatti, tornò a riporlo, e si calò con cautela finché i suoi piedi non toccarono il piedistallo. Saltò a terra, e le vibrazioni dell'impatto diedero evidentemente il colpo decisivo... perché il braccio ancora intatto si sbriciolò, formando un mucchietto di frammenti sul pavimento, senza che si sentisse alcun rumore.

Trevize raggelò, per un attimo provò l'impulso di correre a nascondersi, quasi temesse l'arrivo del custode dopo avere rotto qualcosa di importante. Durò pochissimo, ma fu una sensazione dolorosa.

La voce di Pelorat era mesta... era la voce di uno che era appena stato testimone, se non complice, di un atto vandalico. Comunque, Pelorat cercò di consolare l'amico. - Non... non importa, Golan... Tanto, sarebbe caduto da solo, comunque.

Si avvicinò ai frammenti sul piedistallo e sul pavimento, come se cercasse una prova ulteriore della fragilità della statua, prese uno dei frammenti più grossi, poi disse: - Golan, vieni qui.

Trevize si portò accanto a lui e Pelorat, indicando un pezzo di pietra che chiaramente apparteneva al punto in cui il braccio si univa alla spalla, chiese: - Cos'è questo?

Trevize guardò. C'era una chiazza di lanugine, verde vivo. Trevize la sfregò con un dito, staccandola facilmente.

- Sembrerebbe muschio - disse.

- La forma di vita inerte, priva di mente, di cui parlavi?

- Non so fino a che punto "priva di mente". Scommetto che Bliss sosterrebbe che anche questo muschio è cosciente.

- Credi che sia questa specie di muschio a sgretolare la roccia? domandò Pelorat.

- Sì, può darsi che influisca. Su questo mondo c'è parecchia luce e una certa quantità d'acqua. Una metà della sua atmosfera è costituita di vapore acqueo, il resto è azoto, e gas inerti. La percentuale di anidride carbonica è infinitesimale, il che farebbe supporre l'assenza di vegetazione... però l'anidride carbonica potrebbe essere così scarsa in quanto fusa per lo più nella crosta rocciosa. Ora, se lo strato roccioso contiene del carbonato, può darsi che questo muschio lo scinda con qualche secrezione acida, e sfrutti poi l'anidride carbonica generata. Il muschio potrebbe essere la forma di vita principale rimasta sul pianeta.

- Affascinante.

- Certo - convenne Trevize. - Ma fino a un dato punto. Le coordinate dei Mondi Spaziali sono ben più interessanti, ma quello che ci occorre veramente sono le coordinate della Terra. Se non sono qui, potrebbero essere in un altro punto dell'edificio... o in un altro edificio. Andiamo, Janov.

- Ma, senti...

- No, no - fece Trevize impaziente. - Parleremo dopo. Adesso dobbiamo vedere se questo palazzo può rivelarci qualche altra informazione preziosa. La temperatura sale. - Controllò il minuscolo indice termico sul dorso del guanto sinistro. - Andiamo.

Attraversarono le stanze il più delicatamente possibile, per paura di produrre vibrazioni troppo forti e di causare ulteriori danni. I loro passi sollevavano un po' di polvere, che ristagnava alcuni istanti e tornava a depositarsi nell'aria rarefatta, accanto alle loro impronte.

Di tanto in tanto, in qualche angolo buio, si notavano altri esempi di formazione di muschio. La presenza di quella forma di vita, per quanto di grado inferiore, non era comunque consolante, e non alleviava la sensazione soffocante che provavano nell'esplorare quel mondo morto, un mondo che un tempo era stato vivo e fiorente a giudicare dai resti attorno a loro.

D'un tratto Pelorat annunciò: - Questa deve essere una biblioteca.

Trevize si guardò attorno incuriosito. C'erano degli scaffali e, ora che osservava più attentamente, gli sembrava di vedere qualcosa di simile a dei videolibri, mentre a una prima occhiata frettolosa aveva pensato che si trattasse di semplici oggetti ornamentali. Ne prese uno con circospezione. Erano spessi e ingombranti, poi però capì che erano solo gli astucci. Armeggiando con le dita, aprì finalmente il contenitore e all'interno vide parecchi dischi. Anche i dischi erano spessi, e sembravano fragili... ma non era il caso di collaudarne la robustezza.

Disse: - Incredibilmente primitivi.

- Hanno ventimila anni - intervenne Pelorat, quasi volesse difendere i Melpomeniani dall'accusa di arretratezza tecnologica.

Trevize indicò il dorso del videolibro, dove c'erano strani svolazzi ancora leggibili ma incomprensibili. - È il titolo? Cosa c'è scritto?

Pelorat lo studiò. - Non sono molto sicuro, vecchio mio... Credo che una delle parole si riferisca alla vita microscopica. Una parola che sta per "microrganismo", forse... E ho l'impressione che questi siano termini tecnici di microbiologia, che non capirei nemmeno in Galattico Standard.

- Probabile - borbottò Trevize, cupo. - Ed è altrettanto probabile che non ci sarebbero di alcuna utilità anche se riuscissimo a leggerli. A noi i germi non interessano... Fammi un favore, Janov... Dài un'occhiata ad alcuni di questi libri, e vedi se c'è qualcosa con un titolo interessante. Intanto, io darò un'occhiata a questi visori.

- Ah, sono visori? - fece Pelorat. Si trattava di strutture cubiche tozze, sormontate da uno schermo inclinato e da un prolungamento curvo sulla sommità... forse una specie di bracciolo, o forse un punto dove appoggiare un elettrotaccuino... ammesso che esistessero su Melpomenia.

Trevize disse: - Se questa è una biblioteca, devono pur esserci degli strumenti di lettura... e questi sembrerebbero proprio dei visori.

Spolverò piano uno schermo, che per fortuna non si sbriciolò, poi azionò i controlli, sempre con delicatezza, uno dopo l'altro. Non accadde nulla. Provò un altro visore, ne provò un terzo, con gli stessi risultati negativi.

Prevedibile. Anche se quegli strumenti erano rimasti perfettamente efficienti dopo venti millenni in un'atmosfera rarefatta, e resistevano al vapore acqueo, c'era ugualmente il problema dell'alimentazione. L'energia immagazzinata, per quanto protetta da schermature, tendeva a disperdersi. Era un altro aspetto omnicomprensivo e inevitabile della seconda legge della termodinamica.

Pelorat si portò alle spalle di Trevize. - Golan?

- Sì?

- Ho qui un videolibro...

- Di che genere?

- Credo che sia una storia del volo spaziale.

- Perfetto... ma non ci servirà a nulla se non riesco a mettere in funzione questo visore.

- Potremmo portare il videolibro sulla nave.

- Non saprei come adattarlo al nostro visore... e il nostro sistema di scansione è sicuramente incompatibile.

- Ma tutto questo... È proprio necessario, Golan? Se noi...

- Sì, è necessario, Janov. Adesso non interrompermi. Sto cercando di decidere cosa fare. Potrei provare a dare energia al visore. Forse non occorre altro.

- E dove la trovi l'energia?

- Be'... Trevize estrasse le armi, le osservò un attimo, quindi ripose il disintegratore. Aprì la frusta neuronica, e controllò il livello di carica. Era al massimo.

Trevize si stese sul pavimento e strinse il visore, cercando di spingerlo in avanti. Il visore si spostò leggermente, e Trevize studiò quello che aveva appena scoperto.

Uno di quei cavi doveva essere quello d'alimentazione, e sicuramente era quello che usciva dalla parete. Non si vedeva però nessuna spina, né una derivazione. Era difficile fare i conti con una cultura aliena e antica dal momento che anche le cose più semplici e scontate apparivano irriconoscibili.

Tirò piano il cavo, poi più forte. Lo girò da una parte, poi dall'altra. Premette la parete nei pressi del cavo, e il cavo vicino alla parete. Provò a tastare il pannello posteriore seminascosto del visore, ma non cambiò nulla.

Allora appoggiò una mano sul pavimento per drizzarsi e, mentre si alzava, il cavo che stringeva si staccò misteriosamente.

Non sembrava rotto né lacerato. L'estremità era liscia, come il punto della parete dov'era fissato un attimo prima.

Pelorat lo chiamò sottovoce: - Golan, posso...

Trevize agitò il braccio perentoriamente. - Non ora, Janov. Per favore!

- Si accorse di avere della lanugine verde nelle pieghe del guanto sinistro. Doveva aver raccolto quel muschio dietro il visore, schiacciandolo. Il guanto sembrava lievemente umido, ma asciugò subito e la macchia verdastra diventò marrone.

Trevize rivolse la propria attenzione al cavo, fissando l'estremità staccata. Sì, c'erano due forellini. Si potevano inserire dei fili, lì.

Si sedette sul pavimento, aprendo l'alimentatore della frusta neuronica. Depolarizzò uno dei fili e lo staccò. Poi, lentamente, lo infilò in un foro, e spinse finché il filo si fermò. Quando provò a staccarlo con deboli strattoni, il filo non si mosse, sembrava bloccato. Allora depolarizzò l'altro filo e lo inserì nella seconda apertura. In questo modo, teoricamente, il circuito si sarebbe chiuso, fornendo l'energia al visore.

- Janov, avrai maneggiato videolibri di ogni tipo, immagino. Vedi se riesci a inserire quello nel visore.

- È proprio necessario...?

- Per favore, Janov, basta con le domande inutili. Non abbiamo molto tempo. Non voglio essere costretto ad aspettare che sia notte fonda e che questo edificio si raffreddi abbastanza da consentirci di tornare.

- Credo che vada inserito qui, Golan, ma...

- Bene - disse Trevize. - Se è una storia del volo spaziale, dovrà iniziare con la Terra, dato che il volo spaziale è stato inventato là. Forza, vediamo se funziona questo aggeggio.

Pelorat, con cura un po' eccessiva, inserì il videolibro nell'ovvia feritoia e cominciò a studiare i contrassegni dei vari controlli.

Mentre aspettava, Trevize parlò, sottovoce, in parte per scaricare la tensione. - Probabilmente anche su questo mondo ci saranno dei robot, sparsi qui e là, apparentemente ancora funzionanti in questo ambiente di vuoto quasi assoluto. Il problema è che i loro alimentatori saranno scarichi da chissà quanto... e anche se venissero ricaricati, come reagiranno i loro cervelli? Le leve e gli ingranaggi possono resistere ai millenni... ma i microinterruttori e gli altri congegni subatomici che hanno senza dubbio nel cervello? Quelli si saranno deteriorati per forza, ma anche se non si fossero deteriorati, cosa possono sapere i robot riguardo la Terra? Cosa...

- Il visore funziona, vecchio mio - annunciò Pelorat.

Nella penombra, lo schermo del visore cominciò a illuminarsi in modo tremulo, debolmente. Trevize alzò un po' il livello di erogazione della frusta neuronica, e la luminosità aumentò, mentre qualche macchia confusa scorreva sullo schermo.

- Va messo a fuoco - disse Trevize.

- Lo so - annuì Pelorat. - Ma non riesco a regolarlo meglio di così. Il videolibro deve essersi consumato.

Adesso le ombre scorrevano rapide, e di tanto in tanto sembrava che apparissero dei brani scritti. Poi all'improvviso, dopo un attimo di chiarezza, tutto tornò a confondersi.

- Torna indietro e blocca, Janov.

Pelorat stava già provando. Andò indietro, individuò il punto interessante, fece avanzare il videolibro, e finalmente riuscì a fermare l'immagine.

Smanioso, Trevize cercò di leggere, ma dovette rinunciare, e disse frustrato: - Riesci a capire, tu, Janov?

- Non completamente - rispose Pelorat, stringendo le palpebre. Riguarda Aurora, mi pare... Parla della prima spedizione iperspaziale... il "primo espandimento", dice.

Proseguì, e le immagini si annebbiarono e si sfocarono di nuovo. Infine disse: - Tutti i frammenti che riesco a decifrare parlano dei mondi Spaziali, Golan... Pare che non ci sia nulla sulla Terra.

Il tono amareggiato, Trevize disse: - No, logico. Anche su questo mondo, come su Trantor, è stato cancellato tutto. Spegni questo aggeggio.

- Ma non ha importanza... - fece Pelorat, spegnendo.

- Perché possiamo provare in altre biblioteche? No, anche là non troveremo nulla. Le informazioni sono state cancellate, ovunque. Sai... - Trevize stava guardando l'amico mentre parlava, e adesso lo fissò con un misto di orrore e ripugnanza. - Cos'ha la tua visiera? - chiese.

Lxvii

Automaticamente, Pelorat portò la mano guantata alla visiera, poi la staccò e guardò.

- Cos'è - disse perplesso. Quindi guardò Trevize e continuò con voce stridula: - Anche la tua visiera ha qualcosa di strano, Golan.

Trevize si guardò attorno un istante, come se cercasse uno specchio. Ma non ce n'erano, e in ogni caso avrebbe avuto bisogno di una luce. Mormorò: - Vieni al sole.

Trascinò Pelorat nel raggio luminoso che penetrava dalla finestra più vicina. Nonostante l'effetto isolante della tuta spaziale, sentiva il calore del sole sulla schiena.

- Guarda verso il sole, Janov, e chiudi gli occhi.

Capì subito cosa avesse di strano la visiera del casco. C'era del muschio che cresceva rigogliosamente nel punto in cui il vetro della visiera incontrava il tessuto metallizzato della tuta. La visiera era orlata di lanugine verde, e Trevize si rese conto che anche la sua doveva essere in condizioni identiche.

Passò un dito sul muschio che aderiva alla visiera di Pelorat. Una parte si staccò, macchiandogli il guanto. E mentre Trevize osservava, il muschio che luccicava nel riflesso del sole sembrò irrigidirsi e essiccarsi. Trevize provò ancora, e questa volta il muschio si sbriciolò, staccandosi. Stava diventando marrone.

Trevize strofinò bene i bordi della visiera di Pelorat. - Adesso pulisci la mia, Janov - disse. E poco dopo: - Tolto tutto? Bene, anche la tua visiera è a posto... Andiamo. Non ci resta altro da fare qui.

Il calore del sole era fastidioso nella città deserta e senz'aria. Gli edifici di pietra scintillavano, in modo quasi doloroso. Trevize tenne gli occhi socchiusi, e cercò se possibile di costeggiare il lato in ombra delle strade. Si fermò di fronte a una crepa nella facciata di una costruzione, una crepa abbastanza ampia da permettergli di infilare un dito. Quando ebbe ritratto il dito, lo guardò e mormorò: - Muschio. - E deliberatamente si portò al sole e alzò la mano per un po'.

Disse: - È l'anidride carbonica il passaggio obbligato. Cresce dove trova l'anidride carbonica... e in pratica la può trovare in mille posti... Sai, noi siamo un'ottima fonte di anidride carbonica, probabilmente la più ricca su questo mondo quasi morto... ed è probabile che delle tracce di questo gas filtrino attraverso i bordi delle visiere.

- Così il muschio cresce lì attorno.

- Sì.

Il tragitto di ritorno alla nave sembrò molto più lungo, e naturalmente più caldo, di quello d'andata. La nave era ancora all'ombra, comunque, quando la raggiunsero. Per fortuna, atterrando, Trevize aveva azzeccato i calcoli, almeno riguardo quel particolare.

- Guarda! - esclamò subito Pelorat.

Trevize annuì. I bordi del portello erano striati di muschio.

- Altra perdita? - fece Pelorat.

- Certo. Quantitativamente insignificante, ma questo muschio individua anche la più piccola perdita di anidride carbonica. Le sue spore devono essere dappertutto, e se trovano qualche molecola di anidride carbonica attecchiscono subito. - Trevize regolò la lunghezza d'onda della radio, mettendosi in contatto con la nave. - Bliss, mi senti?

La voce della ragazza risuonò in entrambi i caschi. - Sì. Pronti a entrare? Avete avuto fortuna?

- Siamo qui fuori, ma non aprire il portello.

- Perché?

- Bliss, fai come ti dico, d'accordo? Discuteremo dopo.

Trevize estrasse il disintegratore, ne abbassò l'intensità fino al minimo, e lo fissò incerto. Non l'aveva mai usato al minimo. Si guardò attorno. Non c'era niente di abbastanza fragile su cui collaudarlo.

Allora, non sapendo che fare, lo puntò sul fianco dell'altura che riparava dal sole la Far Star... Il bersaglio non diventò incandescente. Trevize provò a toccare il punto colpito. Era caldo? Impossibile dirlo con sicurezza dato il tessuto isolante della tuta.

Trevize esitò ancora, poi decise che lo scafo della nave doveva avere all'incirca la stessa resistenza del fianco della collina. Puntò il disintegratore sul bordo del portello e fece scattare brevemente il contatto, trattenendo il respiro.

Parecchi centimetri di muschio diventarono subito scuri. Trevize agitò la mano vicino al tratto annerito e il lieve spostamento di quell'aria rarefatta fu sufficiente a disperdere i resti del vegetale.

- Funziona? - chiese ansioso Pelorat.

- Certo. Ho trasformato il disintegratore in un debole raggio termico.

Trevize finì di disinfestare i margini del portello, poi lo colpì per creare una vibrazione che provocasse il distacco del muschio ormai morto, e un pulviscolo marrone scese lentamente a depositarsi al suolo.

- Credo che possiamo aprire, adesso - disse Trevize, e servendosi dei comandi che aveva al polso emise l'onda-radio che azionava il congegno di apertura. Il portello non si era ancora aperto del tutto, quando Trevize incitò l'amico dicendo: - Non restare lì impalato, Janov, entra... Non aspettare gli scalini... arrampicati.

Quindi seguì Pelorat, irrorò col disintegratore gli scalini che stavano abbassandosi, e batté il segnale di chiusura del portello continuando a tenere in funzione il raggio termico finché non si trovarono in un ambiente chiuso.

- Siamo nella camera stagna, Bliss. Ci resteremo per qualche minuto. Mi raccomando, tu non fare nulla.

La voce di Bliss ribatté: - Ditemi almeno qualcosa? Stai bene, tu? E Pel?

Pel rispose: - Sono qui, Bliss. Sto bene. Non c'è motivo di preoccuparsi.

- Se lo dici tu, Pel. Ma dopo pretendo delle spiegazioni.

- Promesso - disse Trevize, e accese la luce della camera stagna.

Le due figure in tuta spaziale erano di fronte.

Trevize spiegò: - Stiamo pompando all'esterno tutta l'aria del pianeta, quindi aspetteremo che l'operazione sia terminata.

- E l'aria di bordo? La lasceremo entrare?

- Per un po', no. Anch'io sono ansioso di togliermi la tuta, Janov. Prima però voglio che ci sbarazziamo delle spore che sono entrate con noi... o addosso a noi.

Nell'illuminazione un po' scarsa della camera stagna, Trevize puntò il disintegratore sui bordi interni del portello e passò metodicamente il raggio termico tutt'intorno, ripetendo l'operazione un paio di volte.

- Adesso tocca a te, Janov.

Pelorat si agitò, allarmato, e Trevize lo tranquillizzò. - Forse sentirai caldo, nient'altro... Se il calore sarà eccessivo, dillo.

Passò il raggio invisibile sulla visiera, in particolare lungo i margini, poi lentamente sul resto della tuta.

- Ora alza le braccia, Janov... Ecco, appoggiale sulle mie spalle, e alza un piede... Devo disinfestare le suole... L'altro piede, adesso... Hai caldo? Troppo caldo?

Pelorat rispose: - Non sento esattamente un fresco alito di brezza, Golan.

- Bene, allora, fammi assaggiare la mia medicina, adesso.

- Ma, Golan, non ho mai impugnato un disintegratore io.

- Devi farlo! Stringilo così, e col pollice spingi questo piccolo pulsante... stringi bene... Ecco, così... Adesso punta il raggio sulla mia visiera. Muovilo in modo uniforme, Janov... non tenerlo troppo a lungo su un unico punto... Ecco, adesso il resto del casco... poi il collo...

Trevize continuò a guidare i movimenti dell'amico, e quando si ritrovò sudato da capo a piedi per quella doccia termica riprese in mano il disintegratore e controllò il livello di carica.

- Ne rimane meno di metà - disse, e irrorò l'interno della camera stagna in ogni angolo, finché l'arma non ebbe esaurito l'energia.

Allora la ripose nel fodero e azionò l'apertura del portello interno. Accolse con sollievo il sibilo dell'aria che entrava. Era fresca e il suo potere convettivo avrebbe raffreddato in fretta le tute spaziali. Forse era uno scherzo dell'immaginazione, ma Trevize avvertì immediatamente l'effetto refrigerante. Fantasia o meno, l'accolse con piacere.

- Giù la tuta, Janov, e lasciala qui nella camera stagna.

- Se non ti dispiace - disse Pelorat - innanzitutto gradirei una doccia.

- Non credo sia possibile. Prima della doccia, e prima di poter svuotare la vescica, ho la sensazione che dovrai parlare a Bliss.

Bliss infatti li stava aspettando, l'espressione preoccupata, e alle sue spalle, aggrappata a lei, faceva capolino Fallom.

- Cos'è successo? - domandò Bliss seria.

- Misure preventive di disinfestazione - rispose conciso Trevize. - Adesso accenderò gli ultravioletti. Presto, le lenti scure.

Con gli ultravioletti in funzione, Trevize si tolse gli indumenti ad uno ad uno e li rigirò, scuotendoli.

- Semplice precauzione - disse. - Fallo anche tu, Janov... E, Bliss, dovrò spogliarmi completamente. Se questo può metterti in imbarazzo, vai nell'altra stanza.

- Perché dovrei essere imbarazzata? - replicò Bliss. - So come sei fatto, e sicuramente non scoprirò nulla di nuovo... Ma perché questa disinfezione? Cosa c'è?

- Oh, nulla... solo una cosuccia che se potesse diffondersi liberamente potrebbe causare gravi danni all'umanità, credo.

 

LXVIII

 

Era tutto sistemato. La luce ultravioletta aveva fatto la propria parte. Ufficialmente, stando ai complessi videomanuali di istruzioni che corredavano la Far Star, gli ultravioletti erano stati installati appunto a scopo di disinfezione. Trevize, comunque, aveva il sospetto che la tentazione fosse sempre presente, e che a volte si potessero usare anche per procurarsi una bella abbronzatura, che su certi mondi era di moda.

La nave decollò, e Trevize la fece avvicinare il più possibile al sole di Melpomenia, girandola più volte in modo da esporne tutta la superficie esterna a una dose massiccia di raggi ultravioletti.

Infine, recuperò le due tute rimaste nella camera stagna e le esaminò finché non si ritenne soddisfatto.

- Tutto questo per un po' di muschio - osservò Bliss. - Hai detto che era muschio, vero, Trevize?

- L'ho chiamato muschio perché mi ricordava del muschio. Comunque, non sono un botanico. Posso dire soltanto che è di un colore verde intenso e che probabilmente si accontenta di pochissima energia luminosa.

- Perché pochissima?

- Il muschio è sensibile agli ultravioletti, e non può crescere, e tanto meno sopravvivere, esposto alla luce diretta. Le sue spore sono ovunque, e cresce in angoli nascosti, nelle crepe, alla base dei muri, nutrendosi dell'energia luminosa dei fotoni sparsi, ovunque sia disponibile una fonte di anidride carbonica.

- E mi pare di capire che lo consideri pericoloso - disse Bliss.

- Già. Se avessimo portato a bordo delle spore, le spore qui avrebbero trovato un'illuminazione abbondantissima e priva di dannosi raggi ultravioletti... avrebbero trovato acqua in quantità, e una fonte inesauribile di anidride carbonica.

- Solo lo 0,03 per cento della nostra atmosfera - disse Bliss.

- Parecchia per le spore... più il quattro per cento del nostro fiato. Potrebbero crescere nelle nostre narici e sulla nostra pelle, alterare e guastare i nostri viveri, produrre delle tossine letali... E anche riuscendo a distruggerle quasi tutte, le poche spore superstiti, una volta trasportate da noi su un altro pianeta potrebbero infestarlo e diffondersi su altri mondi. Chissà quali disastri potrebbero provocare?

Bliss scosse la testa. - La vita non è necessariamente pericolosa solo perché è diversa... Sei sempre così pronto a uccidere, tu.

- Questa che parla è Gaia - commentò Trevize.

- Certo, ma spero di farmi capire ugualmente. Il muschio si è adattato alle condizioni esistenti su Melpomenia. Sfrutta piccole quantità di luce, ma troppa luce gli è fatale. Sfrutta tracce minime di anidride carbonica, e può darsi che quantità maggiori lo uccidano... Quindi può darsi che non sia in grado di sopravvivere sugli altri mondi.

- Avrei dovuto correre il rischio? - fece Trevize.

Bliss si strinse nelle spalle. - D'accordo. Non stare sulla difensiva... Capisco il tuo punto di vista. Essendo un Isolato, probabilmente hai dovuto comportarti così... non avevi scelta.

Trevize stava per ribattere, quando la voce acuta di Fallom si intromise nel discorso parlando in solariano.

Trevize si rivolse a Pelorat. - Cosa sta dicendo?

Pelorat iniziò a tradurre: - Sta dicendo...

Ma Fallom, quasi si fosse ricordata con un attimo di ritardo che la sua lingua non era compresa da tutti, ricominciò daccapo. - C'era Jemby là dove siete stati?

La pronuncia delle parole era esatta, e Bliss si illuminò. - Lo parla bene, il galattico, vero? E ha imparato in pochissimo tempo.

Sottovoce, Trevize disse: - Preferisco non risponderle per non creare complicazioni... Spiegaglielo tu, Bliss, che non abbiamo trovato nessun robot sul pianeta.

- Le parlerò io - si offrì Pelorat. - Vieni, Fallom. - E le cinse le spalle. - Andiamo in camera nostra, e ti darò un altro libro da leggere.

- Un libro? Su Jemby?

- Non proprio... - E la porta si chiuse dietro di loro.

- Bah - fece Trevize spazientito, osservando i due che si ritiravano di là. - Sprechiamo il nostro tempo facendo da bambinaia a quella ragazzina.

- Sprechiamo? Non mi pare che questo intralci la tua ricerca, Trevize... Assolutamente... E comportandoci così instauriamo la comunicazione, allontaniamo le paure, le diamo un po' di affetto. Ti sembrano cose trascurabili?

- Di nuovo Gaia che parla.

- Sì... E cerchiamo di essere pratici, allora. Abbiamo visitato tre Mondi Spaziali e non abbiamo ottenuto nulla.

Trevize annuì. - Vero.

- Anzi, abbiamo scoperto che tutti i pianeti erano pericolosi, no? Su Aurora c'erano i cani selvatici; su Solaria, degli esseri umani strani e pericolosi; su Melpomenia, un muschio parassita. A quanto pare, quando un mondo viene lasciato a se stesso, indipendentemente dalla presenza di esseri umani, diventa un pericolo per la comunità interstellare.

- Non puoi considerarla una regola generale.

- Però, tre casi su tre sono certamente una percentuale significativa.

- Significativa, in che senso, Bliss?

- Ti rispondo subito. E, per favore, ascoltami senza preconcetti. Nella Galassia ci sono milioni di mondi, e ognuno è composto interamente di Isolati, e su ognuno gli esseri umani rappresentano la forma di vita dominante e possono imporre la propria volontà alle altre forme di vita, all'ambiente geologico circostante, e perfino ai propri simili. La Galassia, dunque, è una specie di Galaxia molto primitiva, dal funzionamento imperfetto. L'inizio di un'unità. Capisci?

- Capisco cosa stai cercando di dire... ma questo non significa che debba essere d'accordo con te quando avrai finito di parlare.

- Ascoltami. Non devi essere d'accordo per forza, devi solo ascoltare. La Galassia può funzionare solo come proto-Galaxia, e più si avvicinerà a uno stadio adulto meglio sarà. L'Impero Galattico è stato un tentativo di creare una proto-Galaxia forte, e quando è crollato la situazione è peggiorata rapidamente, e si è avuta una tendenza costante a consolidare il concetto di proto-Galaxia. La Confederazione della Fondazione è un esempio di questa tendenza. Come lo era l'Impero del Mulo. Come lo è l'Impero che la Seconda Fondazione mira a realizzare. Ma anche se non ci fossero né imperi né confederazioni, anche se l'intera Galassia fosse in tumulto, si tratterebbe di un tumulto collegato, coordinato, con tutti i mondi in interazione reciproca, anche se di carattere ostile. Questa di per sé sarebbe una specie di unione, ancora lontana dal caso peggiore.

- Che sarebbe?

- Conosci già la risposta, Trevize. L'hai vista... Se un mondo abitato dagli esseri umani si sfascia completamente, è veramente Isolato, perde qualsiasi legame con gli altri mondi umani... allora degenera, in modo maligno.

- Una specie di cancro?

- Sì. Non è come un cancro, Solaria? È contro tutti i mondi. E i suoi abitanti sono l'uno contro l'altro... E se gli esseri umani scompaiono, scompare anche l'ultima traccia di disciplina. L'ostilità, la legge del "tutti contro tutti", diventa una forza cieca, come nel caso dei cani, o una semplice forza degli elementi, come nel caso del muschio... Dovresti capire che più ci avviciniamo a Galaxia, più vediamo migliorare la società. Perché non puntare decisamente alla realizzazione totale di Galaxia, allora?

Trevize rifletté per un po', fissando Bliss in silenzio. - Ci sto pensando... Ma mi sembra errato presupporre che la questione quantitativa sia a senso unico... cioè che se una cosa a piccole dosi è positiva, aumentando la dose migliorerà sempre più. Tu stessa hai fatto notare che forse quel muschio si è adattato a vivere con pochissima anidride carbonica, e che troppa anidride carbonica potrebbe ucciderlo, no? Un essere umano alto due metri è avvantaggiato rispetto a uno alto un metro, però sta anche meglio di un individuo di tre metri. Un topo non starebbe certo meglio se avesse le dimensioni di un elefante. Non potrebbe vivere. E lo stesso discorso varrebbe per un elefante ridotto alle dimensioni di un topo.

"C'è un formato naturale, una complessità naturale, un optimum per ogni cosa, dalla stella all'atomo... per gli esseri viventi e per le società. Non dico che il vecchio Impero Galattico fosse l'ideale, e anche la Confederazione non è esente da difetti, però non mi sento di affermare che in quanto l'Isolamento totale è negativo l'Unificazione totale è per forza positiva. I due estremi potrebbero essere ugualmente orribili, e forse un Impero Galattico strutturato in modo antiquato è la soluzione migliore alla quale possiamo aspirare."

Bliss scosse il capo. - Chissà se credi davvero a quel che dici, Trevize? Vorresti sostenere che un virus e un essere umano sono due estremi insoddisfacenti, e sceglieresti una soluzione intermedia... per esempio una muffa?

- No. Però potrei sostenere che un virus e un superuomo sono altrettanto insoddisfacenti, e come soluzione intermedia potrei scegliere un essere umano normale... Comunque, è inutile discutere. Avrò la soluzione quando troverò la Terra. Su Melpomenia abbiamo trovato le coordinate di altri quarantasette Mondi Spaziali.

- E vuoi visitarli tutti?

- Tutti, se necessario.

- Rischiando di incontrare nuovi pericoli su ognuno?

- Sì, se per trovare la Terra bisognerà affrontarli.

Pelorat era uscito dalla stanza in cui aveva lasciato Fallom, e sembrava stesse per dire qualcosa, ma fu bloccato dal rapido scambio verbale tra Bliss e Trevize.

- Quanto tempo occorrerà? - stava chiedendo ora Bliss.

- Tutto il tempo necessario rispose Trevize. - Può darsi che troviamo quello che cerchiamo sul prossimo pianeta.

- O su nessuno di questi pianeti.

- Lo sapremo solo provando.

Finalmente, Pelorat riuscì a inserirsi nella discussione. - Ma che senso ha cercare, Golan? Abbiamo già la risposta!

Trevize agitò brusco la mano per liquidare l'intervento dell'amico, poi rifletté un attimo e si girò di colpo. - Cosa?

- Ho detto che abbiamo già la risposta. Su Melpomenia ho provato a dirtelo almeno cinque volte, ma eri talmente preso da quello che facevi...

- Che risposta abbiamo? Di che stai parlando?

- Della Terra. Adesso conosciamo la posizione della Terra, credo.